martedì, novembre 15, 2005

La P2. Lo scandalo messo a tacere.

La loggia massonica Propaganda Due, più nota come P2, fu una delle logge massoniche del Grande Oriente d'Italia dedicate al fine di reclutare nuovi adepti alla causa massonica; fu una loggia "coperta", cioè segreta, e questa circostanza, insieme alla caratteristica di riunire appunto in segreto circa mille personalità di primo piano, principalmente della politica e dell'Amministrazione dello Stato italiano, suscitò uno dei più gravi scandali della storia della Repubblica. La complessità e la vastità delle implicazioni del "caso P2" fu tale che ne scaturirono leggi speciali che limitarono il diritto costituzionale di associazione e che misero in discussione la stessa legittimità della massoneria. La loggia Propaganda Due, nata già segreta, era stata creata, pare, all'inizio del Novecento, ma sarebbe sempre stata una loggia poco attiva, almeno sino a dopo la Seconda guerra mondiale, quando fu utilizzata per "ospitare" massoni importanti che desideravano restare "coperti". Nel 1969 fu chiesto all'allora sconosciuto Licio Gelli di cominciare ad occuparsene. Gelli era un piccolo imprenditore toscano con un passato fascista (tanto da andare a combattere come volontario nella Guerra civile spagnola e da essere agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), attivo negli ambienti dei servizi segreti e del quale si è detto che fosse vicino alla CIA e ad ambienti conservatori statunitensi e sudamericani; il 19 giugno del 1970 Lino Salvini (Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia) pose di fatto Gelli a capo della loggia, inizialmente con la nomina a "segretario organizzativo". Circa i contatti di Gelli e le sue asserite amicizie, egli stesso, del resto, vantava profonde aderenze presso la "corte" del generale argentino Juan Domingo Peron; questa asserita prossimità pare quantomeno non smentita da una famosa fotografia che lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente ed a Giulio Andreotti. Per ragioni sconosciute, la carriera all'interno della Massoneria di Licio Gelli fu rapidissima. Questi, una volta preso il potere al vertice della Loggia, la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari. Nel 1973 la loggia "Giustizia e Libertà", anch'essa segreta e - almeno nel nome - erede delle influenze della massoneria su alcune frange della Resistenza italiana, si fuse nella P2. Dopo alcuni vani tentativi di scioglierla, mossi da gruppi interni alla stessa massoneria, la loggia fu ufficialmente ricostituita e Gelli fu presto promosso "Maestro Venerabile". L'attività piduista crebbe di intensità e di orizzonti, cominciando ad operare anche all'estero (pare riconosciuto che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche). Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati vi avrebbero aderito, secondo taluni l'abilità del Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l'iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane. Secondo altre interpretazioni, la lista altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato. Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell'impianto statale. Pochi mesi prima della nomina di Gelli a capo della P2 era scoppiata la bomba di piazza Fontana a Milano, e pochi mesi dopo il generale Junio Valerio Borghese avrebbe allestito il famoso "Golpe Borghese", noto anche come "tentato golpe dei forestali". A posteriori, la Commissione parlamentare d'inchiesta ricostruì che verso la fine degli anni Settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amici-alleati americani e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire al giornalista scandalistico Mino Pecorelli (poi assassinato) il famoso rapporto "Cominform" (perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto che Gelli agisse per qualche servizio segreto di Paesi comunisti). Gelli reagì rilasciando un'imprevista intervista, nella quale si suppone abbia inviato messaggi in codice, ma sembra accertato che, poco dopo, un uomo di fiducia di Michele Sindona abbia fornito ai giudici di Milano elementi sufficienti per interessarsi del capo della loggia. La scoperta della lista e del programma Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi, presso Arezzo, la nota "Villa Wanda" e la fabbrica che possiede (la "Giole" - divisione giovane di "Lebole"); l'operazione fu eseguita dalla Guardia di Finanza, che scoprì fra gli archivi della "Giole" una lista di 953 iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso Corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell'esistenza di un'organizzazione che mirava a prendere il possesso delle leve del potere in Italia: il "piano di rinascita democratica", un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l'avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un preventivo dei costi per l'acquisizione delle funzioni vitali del potere: La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo. A chiare lettere si indicavano come fini primari (il termine "obiettivi" è usato in quel testo in senso militare, per "bersagli" di blandizie) il riordino dello stato in senso istituzionalistico, il ripristino di un'impostazione selettiva (forse classista) dei percorsi sociali, insomma - secondo molti - una svolta autoritaria. Ma i dettagli del programma non erano di minor interesse. Se da un lato si propugnava la "abolizione della validità legale dei titoli di studio", giustificata dalla carenza di tecnici in tempi di disoccupazione intellettuale, dall'altro lato occorreva "ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive", sempre che la magistratura volesse decidersi a condannarli. Portare il Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo dell'esecutivo, separare le carriere dei magistrati, rompere l'unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano solo alcuni dei punti del progetto. Le persone "da reclutare" nei partiti, dal canto loro, dovevano ottenere addirittura il "predominio" (testuale) sulle proprie organizzazioni, mentre i giornalisti "acquisiti", a maggior gloria della già allora discussa categoria, avrebbero dovuto "simpatizzare" per gli uomini segnalati dalla loggia. Il programma, contenente quel tanto di politichese e di demagogico da poter sostenere il vaglio dell'ingenua forma, non era in realtà che una sorta di memorandum che preannunciava una serie di pressioni e di azioni che avrebbero mirato a conquistare il potere per conferirlo a fidati amici della loggia. Alcuni analisti odierni non mancano di rimarcare che comunque molti degli argomenti trattati in quel programma sarebbero poi stati portati ad esistenza da governi successivi. Nonostante l'Italia fosse da secoli avvezza alla disinvoltura ed alla spregiudicatezza in politica, tanto da vantarne anche celeberrima letteratura specifica, la sensazione generale fu correttamente definita da molti interpreti del tempo come di "attonito sgomento". La lista fu tenuta riservata per qualche tempo dopo la scoperta, ed i tentennamenti di Arnaldo Forlani nel renderla pubblica gli costarono la carica di premier e qualche tempo di lontananza dal proscenio. Una volta resa pubblica, divenne presto memorabile. Tra i 932 iscritti, spiccavano i nomi di 44 parlamentari, 3 ministri, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia e Maurizio Costanzo; in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI), Duilio Poggiolini e l'ormai televisivo professor Fabrizio Trecca, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori. Circa quest'ultimo settore, si notò che vi erano iscritti non solo i capi (fra i quali Vito Miceli e Giuseppe Santovito), che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei famigerati "fascicoli" del SIFAR), il colonnello Minerva (gestore fra l'altro dell'intricato caso dell'aereo militare "Argo 16" e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gianadelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch'egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato. La naturale funzione dei servizi segreti, va osservato, sarebbe effettivamente ben compatibile con la possibile infiltrazione di elementi, anche in questa organizzazione, per legittimi motivi di servizio; la concentrazione, però, di così tanti elementi, e di che grado, non è mai riuscita a volare indenne sopra il sospetto. Fu avanzata l'ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della Commissione d'Inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l'anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, in un'intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti. Circa il vertice occulto, poi, è nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che indicò in Giulio Andreotti il "vero padrone" della loggia, ma di tale affermazione non sono mai state raccolte evidenze di interesse. È bensì vero che Andreotti aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires. Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti. Il capo del governo in carica, Arnaldo Forlani, fu costretto alle dimissioni nel giugno 1981 perché, più o meno volontariamente, ritardò la conferma del ritrovamento e la pubblicazione delle liste. Al suo posto fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, il primo premier non democristiano della storia repubblicana, forse designato proprio per la necessità di una figura potenzialmente poco legata agli ambienti delle istituzioni. Dalle sinistre, infatti, prontamente si era levata una violentissima campagna d'accusa che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento (ma anche l'accostamento, si sa, in politica è un fatto) di esponenti dei partiti di governo e del PSI (antica "concorrente" a sinistra del partito di Berlinguer). Soprattutto i comunisti, effettivamente, avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo ed ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento ad interessi di potenze straniere. Mentre, impauriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano disperatamente sino a superare l'evidenza (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione di un neonato telegiornale di un'emittente privata), altri come Roberto Gervaso erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Elenco per categorie lavorative degli iscritti
MILITARI E FORZE DELL'ORDINE: 208
UOMINI POLITICI: 67
DIRIGENTI MINISTERIALI: 52
BANCHE: 49
INDUSTRIALI: 47
MEDICI: 38
DOCENTI UNIVERSITARI: 36
COMMERCIALISTI: 28
AVVOCATI: 27
DIRIGENTI INDUSTRIALI: 23
GIORNALISTI: 27
MAGISTRATI: 18
IMPRENDITORI: 18
LIBERI PROFESSIONISTI: 17
SOCIETA' PRIVATE (Presidenti): 12
SOCIETA' PUBBLICHE (Dirigenti): 12
ATTIVITA' VARIE: 12
SEGRETARI PARTICOLARI (politici) 11
ASSOCIAZIONI VARIE: 10
ENTI ASSISTENZIALI E OSPEDALIERI: 10
FUNZIONARI REGIONALI: 7
DIRIGENTI COMUNALI: 8
SOCIETA' PUBBLICHE (Presidenti): 8
SINDACALISTI: 2
DIPLOMATICI: 9
PROVVEDITORI AGLI STUDI: 2
COMMERCIANTI: 1
CONSULENTI FINANZIARI: 4
COMPAGNIE AEREE: 8
EDITORI: 4
DIRIGENTI EDITORIALI: 6
SCRITTORI 3
DIRIGENTI RAI-TV: 10
COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE: 6
ARCHITETTI: 7
NOTAI: 4
ANTIQUARI: 6
ALBERGHI (Direttori): 4

Aprile 2005: Impieghi di alcuni dei tesserati

Silvio Berlusconi (tessera n.1816): Presidente del Consiglio dei Ministri
Fabrizio Cicchitto (tessera n.2232): deputato e vicecoordinatore nazionale di Forza Italia, nonché editorialista de Il Giornale.
Roberto Ciuni (tessera n.2101): collaboratore de Il Giornale e Panorama.
Maurizio Costanzo (tessera n.1819): conduttore di Buona Domenica e de Il diario su Canale 5 nonché consulente per La 7.
Giuseppe Croce (tessera n. 2071): Giudice per le Indagini Preliminari a Roma.
Massimo De Carolis (tessera n.1815): avvocato attuale esponente di Forza Italia.
Massimo Donelli (tessera n. 2207): attuale direttore di TV Sorrisi e Canzoni (Gruppo Mediaset).
Publio Fiori (tessera n. 1878): deputato di Alleanza Nazionale e attuale vicepresidente della Camera.
Roberto Gervaso (tessera n. 1813): ha una rubrica fissa su Rete 4 (Peste e corna) e sul Messaggero.
Enrico Manca (tessera n. 2148): dirige l'associazione "Pol-Is" per il "rinnovamento della politica e della democrazia". Attualmente nelle file del partito della Margherita.
Antonio Martino (aveva presentato domanda scritta di affiliazione, non fecero in tempo ad approvare il suo ingresso nella P2): Ministro della Difesa.
Roberto Memmo (tessera n. 1651): avvocato e finanziere dirige la "Fondazione Memmo per l'arte e la cultura".
Paolo Mosca (tessera n.2100): oggi direttore del rotocalco Vip e titolare di rubrica fissa quotidiana su Unomattina, in Rai.
Gino Nebiolo (tessera n. 2097): attuale giornalista de Il Foglio di Giuliano Ferrara e del Giornale di Sicilia.
Rolando Picchioni (tessera n.2095): attuale segretario della Fondazione del Libro di Torino (ente organizzatore del Salone del Libro) e direttore esecutivo del World Political Forum.
Angelo Rizzoli (tessera n. 1977): attuale produttore di cinema/tv per Rai e Mediaset.
Vittorio Emanuele di Savoia (tessera n. 1621): mediatore d'affari.
Gustavo Selva (tessera n.1814): deputato di Alleanza Nazionale, attuale presidente della Commissione Esteri.
Alberto Sensini (piduista "interruptus", come Antonio Martino): giornalista del Gazzettino.
Fabrizio Trifone Trecca (tessera n. 1748): medico, titolare di rubrica fissa di medicina "Vivere bene" su Rete 4.
Giancarlo Elia Valori (fascicolo n. 0283, espulso dallo stesso Gelli): Presidente della Società Italiana Autostrade e del consorzio di telefonia "Blu" e attuale Presidente dell'Unione Industriale di Roma.

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