venerdì, novembre 25, 2005

Quanto vale un'acca

Quell’acca vale eccome. Così dimostra uno studio socio-linguistico sul termine “handicap”.
Ecco le parole del professore Paolo Poccetti in un intervento sul tema: “A differenza di altri segni alfabetici, alla lettera H non corrisponde nella lingua italiana alcun suono, Più tecnicamente l'acca in italiano - diversamente da altre lingue - non è che un grafema, il quale non solo non rappresenta nessun fonema, cioè un suono funzionale alla lingua, ma neppure una variante. In altre parole, l'acca è il segno che si scrive per convenzione, dovuta o a ragioni etimologiche (legata, cioè, all'origine delle parole che la recano) o a pura vezzosità, ma non si pronuncia: rappresenta, dunque, il silenzio.Le parole inizianti con H, con la sola eccezione delle III persone dell'indicativo presente del verbo avere, tradiscono la loro origine straniera, per lo più da lingue dove il segno indica un suono che è fonologicamente pertinente e che, invece, una volta che la parola è trasposta in italiano, si ammutolisce nelle pronunce meno accurate.
Le parole con H iniziale, conservando la veste ortografica alloglotta, segnalano immediatamente la loro estraneità al lessico italiano e diventano fin dall'inizio una spia di ciò che è diverso. Ovviamente diverso significa solo differente, ma non "estraneo", perchè una parola non è diversa di per sè, ma sono gli utenti della lingua a sentirla "diversa" e a renderla uguale alle altre, facendone parte integrante della varietà delle componenti del lessico. Per queste considerazioni il titolo Parole con l'acca è stato molto appropriatamente e, al tempo stesso, piacevolmente scelto dagli organizzatori di un convegno multidisciplinare sulla tematica dell'handicap, parola anch'essa appunto iniziante con l'acca.Nel suo campo semantico, handicap è la parola con l'acca per eccellenza, è l'arcilessema con cui si designano le molteplici condizioni di disagio nelle quali una persona può, per infiniti motivi e circostanze, trovarsi nella vita e che lo rendono ad un certo punto diverso dagli altri. Tuttavia - e qui viene il calzante parallelo con le vicende del lessico - a determinare la diversità non è tanto la condizione oggettiva, quanto piuttosto la considerazione soggettiva e le barriere, non solo architettoniche, ma soprattutto pregiudiziali degli altri. Handicap è una parola ormai acclimatata ed integrata nel lessico italiano a tal punto che il suo derivato andicappato si può scrivere anche senza l'acca, come sanciscono illustri dizionari, creando così una dissolvenza attraverso la lettera iniziale tra ciò che c'è e ciò che non c'è. D'altra parte, come handicap è un eufemismo per indicare una condizione disabilitante e dolorosa (talvolta meno sul piano fisico che su quello psichico), anche l'espressione parole con l'H per trattare la tematica che vi è sottesa è a sua volta un eufemismo. Insomma un eufemismo dietro un altro eufemismo...Se vi può essere una vera rivoluzione nel trattare la tematica dell'handicap, questa non può che partire dalla lingua, perchè - per riformulare il detto di Protagora - "la lingua è la misura di tutte le cose, di quelle che sono, in quanto sono, e di quelle che non sono, in quanto non sono". ”
Tutto questo a significare che il disagio si combatte partendo dalle piccole cose. Si combatte anche non cedendo al processo di anglicizzazione della lingua o alla voglia di esotico, soprattutto quando questa porta ad una sottile discriminazione nei termini...

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