domenica, dicembre 18, 2005

Il contratto a progetto. La rovina di onesti lavoratori. A cura di Gloria


Il contratto a progetto
La rovina di onesti lavoratori
Il contratto a progetto, o meglio il contratto di collaborazione a progetto, nasce con l’intento di limitare tutte quelle collaborazioni coordinate e continuative che mascherano il rapporto di lavoro dipendente; mascherano in poche parole la netta differenza che da sempre contraddistingue il datore di lavoro dal dipendente. Il contratto a progetto presenta innumerevoli incertezze perché se da un lato il lavoratore può ritenersi un collaboratore e decidere in modo autonomo il da farsi negli orari e nei modi da lui stabiliti, dall’altro deve comunque sottostare alle regole del “capo”, dalle piu’ semplici alle piu’ complesse. Mi spiego riportando la mia esperienza. Da circa un anno lavoro in una redazione che si occupa di pubblicità; una piccola azienda ben avviata e collaudata che ha dato vita a due siti internet di grande successo e a due riviste, di cui una mensile. In questo ambito io ho un contratto a progetto, quindi non sono un lavoratore dipendente bensi’ autonomo (nulla di piu’ falso). La mia attività dovrebbe consistere nell'esecuzione di un progetto (o programma di lavoro), che devo poter gestire autonomamente senza sottostare al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Terminato il progetto negli orari e nei modi da me stabiliti, potrei senza alcun tipo di difficoltà, tornare a casa, anche avendo lavorato due o tre ore, purchè io abbia terminato il progetto stabilito. In realtà tale autonomia risulta limitata dal fatto che al collaboratore viene richiesto di operare all'interno del ciclo produttivo e dell'organizzazione aziendale, e anche di coordinare la propria attività ai tempi di lavoro e alle necessità dal committente. Capirete bene che tutto cio’ è una contraddizione continua. Il mio lavoro inizia alle 9 e termina alle 18.00; potrebbe aver fine anche prima dell’orario prestabilito cioè le ore 18,00 ma io devo comunque restare fino a tale orario. Perché? Perché se il mio progetto in quel dato giorno è portato a termine? Perché ildatore di lavoro cosi’ ha deciso e cosi’ deve essere.

La legge non prevede una durata massima del rapporto di lavoro a progetto. Nel mio caso il contratto viene rinnovato ogni tre mesi; Va anche ricordato che in caso di malattia o infortunio il datore di lavoro può decidere di interrompere il contratto con il collaboratore anche prima della sua scadenza naturale. Che senso ha tutto cio’? Non lo so, le contraddizioni di tale rapporto lavorativo sono palesi e incredibilmente assurde.
Si è lavoratori autonomi, si stabilisce un progetto da portare a termine, si ha la massima autonomia nello svolgimento di tutte le attività ma gli orari lavorativi e il da farsi in ogni circostanza vengono decisi sempre e comunque dal datore di lavoro. Se il mio progetto termina alle 16.00, io devo comunque rimanere in redazione fino alle 18,00; non ho mai inoltre la certezza di poter continuare a lavorare se non entro i tre mesi facenti parte della durata del progetto in questione, gli straordinari non vengono retribuiti. Questa è solo una piccola parte della brutta realtà di questi nuovi contratti, se volete saperne di più chiedete pure.
Gloria

sabato, dicembre 17, 2005

Le (tragi)comiche di Berlusconi


STRASBURGO 2 luglio 2003. Alta tensione al Parlamento di Strasburgo. Silvio Berlusconi ha presentato in aula le linee programmatiche del semestre italiano di presidenza dell'Unione Europea. Ma durante il suo intervento il clima si è surriscaldato, in particolare sui temi della giustizia e del conflitto di interessi: cartelli esposti dai Verdi (per Berlusconi "turisti della democrazia"), critiche di liberali, socialisti e socialdemocratici. Lo scontro più aspro, quello con il capo delegazione della Spd, Martin Schulz. Che ha rimproverato Berlusconi di aver "dimenticato" di citare Umberto Bossi ("le sue dichiarazioni sono inaccettabili"), ed ha chiesto al presidente del Consiglio quali fossero i programmi sull'istituzione di una procura di Stato europea, sul mandato d'arresto europeo, e sul riconoscimento reciproco di documenti nei processi penali. Raggelante la replica di Berlusconi: "In Italia stanno preparando un film sui campi di concentramento - ha detto a Schulz -, ed io la proporrò per il ruolo di kapò". Immediata la protesta dai banchi delle sinistre, e durissima la controreplica dello stesso Schulz: "Mi chiedo se chi è capace di dire certe cose, può essere in grado di svolgere una funzione pubblica". Berlusconi - Schulz kapò.rm (1.441 Kb - durata 00.53)

Sono cinque secondi datati 26 marzo 2004. Siamo al Consiglio Europeo di Bruxelles. I leader europei sono appena arrivati a palazzo Justus Lypsisus, sede del summit. Berlusconi è seduto a un tavolo, ha la testa china, e si vede in bella mostra la calvizie che il premier nasconde accuratamente - quando può - alle telecamere. All'improvviso ecco la mano misteriosa. Quella del premier lussemburghese Jean Claude Junker, si scoprirà più avanti. Gli tira tre pacche sulla testa. Una dopo l'altra. Mica tanto piano. Berlusconi è stupefatto, poi visibilmente irritato. Ma è impossibile descrivere la sua reazione. Si può solo vederla. Come stanno facendo milioni di italiani, in tv o al loro computer. Berlusconi - Pat pat, dear Silvio.mpeg (924 Kb - durata 00.05)

Berlusconi si cimenta come comico con una barzelletta.
Berlusconi - Barzelletta.mp3

Anche se già pubblicata in un post passato riproponiamo l'epica lite tra Santoro e Berlusconi
Berlusconi - Si contenga Santoro.mp3

Una microfonata pazzesca, fortissima. Nella ressa dei giornalisti qualcuno assesta il micidiale colpo sui denti miliardari di Berlusconi. La reazione è ormai un classico...
Berlusconi - Ma cribbio nei denti me l'ha dato.mp3

In ultimo vi proponiamo l'inno di Forza Italia. L'alto contenuto comico ne giustifica la pubblicazione. La demagogia di Silvio si sprigiona tutta qui, nell'inno che è una di quelle cose che tra cent'anni risentiremo con imbarazzo e stupore, come uno dei tanti segni delle degenerazioni del berlusconismo.
Inno Forza Italia.mp3

mercoledì, dicembre 14, 2005

Due Parole sul saluto romano di Di Canio



Paolo Di Canio non fa mistero del suo essere fascista. Non riesce nemmeno troppo bene a fare mistero di essere un troglodita. La parlata da coatto di sedici anni, i modi rissosi (perché è un guerriero dicono (!?)), il sostegno assoluto alla sua discutibile curva nord ci parlano molto del suo animo. Dichiarazioni come “i tifosi del Livorno avevano l’immagine di Fidel Castro sotto il maglione” riferendosi a Che Guevara oppure “se siamo in mano alla comunità ebraica è davvero la fine” riferendosi al rischio di ammenda e al rischio di denuncia della comunità in questione parlano di lui meglio di qualsiasi altra cosa. Di Canio è un libro aperto in tal senso. Non ti fa mistero di ciò che è. Lo capisci subito quando scende in campo con la faccia cattiva che più cattiva non si può che recita, capisci subito che il suo intento è sedurre la curva perché lui è fatto proprio così, è un arraffa popolo di seconda categoria, un personaggio con copione da rispettare. Ostenta il suo essere fascista con tatuaggio con scritto “dux” e col saluto romano, saluto che ha ripetuto a Livorno (per questo la comunità ebraica lo vuole denunciare) e con il fraseggiare pieno di retorica epico-fascista. Ha trentasette anni, una famiglia, una figlia. Eppure la responsabilità, la maturità, il raziocinio ancora non è tra le sue doti.
I laziali a Livorno hanno subito un trattamento vergognoso. Hanno ricevuto petardi addosso al pullman, cori infami e addirittura i Livornesi hanno provato a tirare un razzo addosso a Di Canio, che lo avrebbe potuto tranquillamente uccidere o ferire gravemente. C’era proprio da incazzarsi ad essere laziali. C’era proprio qualcosa da denunciare in quella partita, in quel clima. Paolo il rude però ci è ricascato, ha rifatto il saluto romano facendosi sputare veleno addosso, diventando ancora una volta un caso, mandando in secondo piano quello che si sarebbe potuto denunciare del comportamento dei livornesi. L’eroe dei laziali ha fatto il male dei laziali. Ha meno neuroni dei capelli. Allora accortosi della cazzata inizia a salvare il salvabile quindi “il pugno chiuso è come il saluto romano” con improbabile equiparazione tra il comunismo fortunatamente alieno all’Italia nella sua forma di regime ed il fascismo che ha umiliato l’Italia per un ventennio trascinandola in una guerra che generò cinquanta milioni di morti, spara frasi ambigue e preoccupanti sulla comunità ebraica alla quale quel saluto tolse sei milioni di membri, corre dagli amichetti della curva nord a cercare sostegno, invoca Lotito per difenderlo. Che brutta figura zoticone Di Canio! Avresti potuto denunciare i torti subiti ed invece ti ritrovi che ti vogliono denunciare!
Ci sarebbe poi il discorso della responsabilità verso i giovani che vanno allo stadio, verso i possibili scontri che personaggi come lui creano. Ma non lo faremo. Parlare di maturità, responsabilità, misura parlando di Di Canio è come mettere la cravatta al maiale.

giovedì, dicembre 08, 2005

E se facessi il pilota..? di RaoulBoia


Riporto la mia esperienza personale giusto per far sapere come funziona una parte, magari oscura per molti, del mondo lavorativo italiano.
Quando ero bambino i vari disegni fanciulleschi di aerei di linea con i missili al posto dei motori, gli aeroplanini di carta, i modellini in plastica diventarono senza che me ne accorgessi una passione per me,una passione che mi portò a cercare in ogni modo di raggiungere il mio obiettivo,quello di volare; non sapevo se come pilota di linea, o magari militare…l’importante per me era volare, nient’altro!
Le scuole superiori portarono buone nuove per me, ma già a loro modo preoccupanti. Mi ero iscritto all’istituto tecnico aeronautico F. De Pinedo di Roma, ma il mio iter iniziava diversamente dagli altri miei amici, infatti dovevo inviare la domanda, avere ottenuto un ottimo voto alla fine delle scuole medie, e sperare nella disponibilità di posti. Arrivata l’ambita lettera di accettazione, ecco subito la seconda formalità: la visita medica! Ma come, solo per iniziare la scuola serve effettuare un sfilza di visite mediche che non finisce più? Bene, vorrà dire che la scuola ti catapulta così direttamente nel mondo del pilotaggio che è bene sapere fin da subito se si è “sani” per il volo o meno!!! E invece no! Dopo che i missili dei miei disegni erano diventati complessi motori turbocompressi o sovralimentati, dopo lo studio dell’aerotecnica, della navigazione aerea, del traffico aereo, della meteorologia chiunque penserebbe di essere (almeno un po’) qualificato per svolgere il lavoro del pilota…altro errore!!!
Per diventare pilota la credenziale lasciata dall’istituto tecnico aeronautico vale come qualsiasi altra scuola, cioè niente.
Ci sono due strade da seguire a questo punto: si può scegliere la via civile o quella militare.
Partiamo dalla più comoda, quella civile.
I brevetti da conseguire per diventare un pilota di linea sono tre: Brevetto di pilota privato, brevetto di pilota commerciale e brevetto di pilota di linea. Si possono conseguire in maniera modulare, cioè uno per volta, gradualmente e secondo la personale disponibilità di tempo e denaro, o integralmente, cioè partendo da zero ed arrivando al brevetto di pilota di linea. Il costo di questa situazione è, mediamente, di 60.000 euro!!! Senza contare che dopo servono centinaia di ore di volo di esperienza per potersi avvicinare ad una linea aerea.
Scartata questa ipotesi si passa al campo militare. Ci sono vari modi per diventare un pilota militare, pressoché simili tra loro. Parlando dell’aeronautica militare, corpo naturale per un pilota, si può scegliere di partecipare al concorso per i corsi regolari di accademia, dove dopo 4 anni di studi in accademia si inizia la carriera di pilota…per questo concorso i posti sono una settantina per circa 10000 domande ogni anno, le prove sono ostiche, le raccomandazioni d’obbligo, e la mano del grande fratello signore delle aeronautiche sempre presente. Si pensi che per i test iniziali si usa la massima trasparenza: correzione automatica, testimoni estratti a caso tra i concorrenti, risultati quasi istantanei… poi le visite…poi il tema! Ah, il tema merita un po’ di spazio. Il tema si scrive, si consegna, e poi il mondo si divide in tre categorie: chi prende 19/30, chi prende 21/30, e quattro o cinque persone sulle 900 che arrivano a fare il tema balzano come per magia a 25-26/30. La soglia per il passaggio dell’esame è 21/30 ! Nessuno prende meno di 18-19, e sul tema NON SI POSSONO CHIEDERE SPIEGAZIONI, sparisce, ormai è andato. Non è concesso chiedersi se la soggettività intrinseca in questo tipo di prova possa magari aver influenzato verso alcune direzioni l’inerzia dell’esame. Bene, una volta che questo miracolo si è compiuto (io ho fatto parte sia dei 19/30 che dei 21/30 e ancora non mi rendo conto di come diavolo mi abbiano giudicato!) ci si trova davanti al fiore all’occhiello della commissione di selezione dell’ A.M….IL TIROCINIO PSICO-ATTITUDINALE! Cosa si nasconde dietro questo termine? Ma è presto detto. Il tirocinio consiste nella permanenza di circa 9 giorni in accademia aeronautica a Pozzuoli per essere valutati sotto vari punti di vista. Non si è ancora stati assunti, si è ancora civili, si è ancora in una fase concorsuale, eppure quello che succede ha dell’incredibile. In barba alla scrupolosa trasparenza dei primi step, in accademia si è sotto l’inquadramento di un manipolo di individui noti col nome di aspiranti e frequentanti il terzo anno dei corsi regolari di accademia. Questi personaggi assegnano punizioni, scherniscono i candidati, si arrabbiano ed urlano PILOTANDO (finalmente dopo tre anni possono pilotare qualcosa!) l’esito del tirocinio. Dimenticando che hanno a che fare con civili impartiscono punizioni atte a distruggere l’equilibrio fisico del candidato, costringendolo ad astute punizioni corporali infatti pur non osando toccare i candidati, gli ORDINANO di stare in piedi e sugli attenti, in un fascio di nervi, con le braccia strette al corpo tanto da non lasciar trasparire luce, con la testa alta ed il naso indicante il soffitto! Dopo aver lasciato tutto il gruppo per un’ora così, se la prendono con qualcuno in particolare, mantenendo durante il riposo della “compagnia” la posizione di attenti, e poi si ricomincia tutti insieme, e poi ancora una volta solo gli indisciplinati…un po’ alla full metal jaket, sanno di essere intoccabili tra quelle quattro mura, sanno che se hanno fatto passare l’incidente di Ustica per 25 anni, nonostante l’ovvietà dell’accaduto, come colpa di altri, e poi di nessuno, non sarà certo il mio caso o quello di altri a destare l’opinione della cronaca.
Quando dopo due giorni di stress fisico continuo (se non vogliono i signori aspiranti non si mangia, non si dorme, non si parla e non ci si muove, e spesso capita appunto che le persone restino sugli attenti davanti alla tavola senza poter mangiare, perché magari avevano messo il coltello con la lama rivolta verso l’interno invece che verso l’esterno, o che non si possa andare a dormire perché qualcuno ha lasciato il bagnoschiuma nelle docce!) i legamenti del mio ginocchio hanno ceduto ho detto basta, ho chiesto di smetterla con la buffonata alla quale stavo partecipando, e loro mi hanno risposto che potevo andarmene quando volevo, e che se volevo rimanere dovevo stare alle loro regole.
Beh, capisco la frustrazione dei poveri aspiranti, ma loro hanno avuto il potere di pilotare senza alcun tipo di supervisione l’esito del concorso.
Hanno rubato un mio sogno per darlo a chi volevano loro, mi hanno rovinato i legamenti del ginocchio, mi hanno urlato in faccia e dato ordini nonostante non fossi un militare, mi hanno vietato di mangiare e a volte di dormire…ma nessuno pagherà, perché dicono che queste cose fanno diventare uomini.
Meno male che ho avuto la forza per non diventare un cagnolino dello Stato, per non dover dire “sissignore” anche a ordini incredibili, per non dover fare il soldatino impettito per compiacere un superiore, per non dover fare il cubo dei vestiti, perché tutto sommato esistono le stampelle…

Alla fine di questo lungo articolo dico che non farò mai quello che ho sempre sognato di fare,il pilota, ma solo perché l’Italia non offre nessuna possibilità a chi non sia ricco, o amico di qualche generale o semplicemente un anonimo leccapiedi che per lavoro spala la merda che i superiori hanno prodotto….

RaoulBoia

domenica, dicembre 04, 2005

Risposta a RaoulBoia e a "J" ascia: Gem Smider Land diventa S.p.A.

Carissimo RaoulBoia, Carissimo “J” ascia,
vi ringrazio tanto delle belle parole (mi hanno sinceramente commosso) e dei complimenti. Vi ringrazio anche perché so che avete capito a pieno lo spirito di questo blog: Collaborazione, al fine di essere tutti un po’ più istruiti, al fine di conoscerci e di sondare insieme lo scibile. Questo malgrado uno (pseudo) nome di battesimo che intitola il blog e che gli dà quel carattere personale che forse ha depistato alcuni. Sono convinto che in realtà questo blog è cogestito, da tutti noi a dispetto del nome appunto de “la terra di Gem Smider”. E se questo non fosse stato esplicito sin dall’inizio allora avverto tutti che “Gem Smider Land” diventa S.p.A. cioè darà la possibilità a chiunque voglia di scrivere sulla pagina principale e anche di far parte del “team” così da pubblicare articoli senza avvertire preventivamente nessuno e se si volesse si potrebbe anche cambiare il nome del blog per suggellare la cooperativa intellettuale che vuol essere. L’obbiettivo è un pensatoio in rete, non una pagina in cui Gem Smider fa dell’onanismo intellettuale per megalomania. Tornando a noi, è vero, il blog non ha avuto molti commenti. E giustifico questo con la caratteristica del blog di essere divulgativo, e non salotto ozioso, e con la difficile commentabilità di alcuni posts che sono conchiusi in sé stessi. Poi, altro dato che mi rassicura, è la media dei commenti dei blog in genere, media dalla quale deduco che sono (siamo!) nella media. Ci si mette infine pure “blogger” che gentilmente elargisce la pagina web ma che non è assolutamente visibile per due motivi: il primo è che l’ home page di “blogger” è praticamente priva di un elenco dei blog, sia esso tematico o dei blog di maggior successo o di quelli maggiormente aggiornati; il secondo motivo è che gli utenti di “blogger” che potenzialmente dovrebbero essere i più facilitati nel trovarci sono tutti stranieri, di italiano non c’è quasi nessuno. Così non si fa quel salottino in rete di cui altri blog godono.
Ma noi in fin dei conti non ci aspettiamo successo o un vastissimo pubblico, perché come hai detto tu, Raoul, da che mondo e mondo la pochezza degli argomenti è talvolta preferita a temi magari ostici, per chi non è avvezzo alle modalità più nobili ed erudite, quindi esclusive per loro natura, del puro e mirabile meccanismo dialogico che si ha quando ci si dice vicendevolmente “voglio parlarti di…”, “a me interessa questo. Voglio condividerlo con te…”. La sorte di questo tipo di comunicazione non è di grande successo, come la tv ci dimostra.
Vi ringrazio tanto (vi scriverei pure che vi voglio bene ma mi vergogno) per quello che avete scritto e ribadisco che siamo una cooperativa. Aspettiamo altri collaboratori.

Gem Smider

mercoledì, novembre 30, 2005

RaoulBoia ha detto:

Ciao caro Gem,voglio lasciarti un commento che non c'entra niente con il post,ma che mi sento di fare comunque...questo è un blog serio,divulgativo,interessante,aggiornato...io ci scrivo sempre,commento vari posts,e se non commento immagazzino informazioni che mi tornano utili,accrescono la mia cultura,magari apprendo curiosità.insomma,mi piace,e trovo triste,ma veramente triste ed indecente il fatto che io sia tra i pochi "commentatori" del blog. Questo è SENZA DUBBIO dovuto al fatto che Blogger non offre la diffusione che offrono altri sistemi italiani,e quindi bisogna conoscere l'indirizzo per trovarti,ma quello che accade è ugualmente scandaloso.Ancora più scandaloso è il fatto che ci sono altri blog in giro per l'etere,che sono stracolmi di commenti fino ad esplodere e non se lo meritano. Non se lo meritano perchè dicono solo cazzate,perchè sono delle chat,perchè fanno irritare la pelle solo a cliccarci sopra...è pur vero che il pubblico che li frequenta è molto molto molto scarso,come gli autori stessi,ma resta lo stesso un'istantanea deprimente della società. Più sei triste(ma non come stato d'animo,intendo povero come persona) e più avrai successo,sempre tra gli stupidi,ma comunque successo!!! Pensa al tuo target!!!Pensa che a Costanzo,se un luminare non guarda buona domenica non gli interessa...alla de filippi,se la Zichichi non guarda amici,non le interessa...loro sono interessati alla feccia della società,perchè sono poveri dentro,non hanno nulla da dire,e hanno come target persone uguali a loro! Sai che ti dico,non lasciare che crescano neanche un po' grazie a te,lasciali affogare nella loro disastrosa ignoranza e superficialità,loro non lo meritano!!! Pensano di essere chissà chi,magari di essere anche umili,ed io non farò nulla per distoglierli dalle loro convinzioni.Il tuo blog è un'isola seria e sensibile,lascialo a noi,a noi che ce lo meritiamo o cerchiamo di farlo...l'audience è dei stolti,specialmente quando nasce dal nulla...ti lascio dicendoti questo: ho menzionato zichichi,che è molto famoso;potevo citare eminenti sconosciuti ma zichichi mi sembra abbastanza...secondo te,tra zichichi e la lecciso,chi ha più audience? pensaci...è triste,ma è così...Ora me ne vado a bordo della mia jeep modello Ambrogio Fogar, e ti saluto...
"j" ascia ha detto...
Come non darti ragione.... sono il primo a scusarmi per la scarsità dei commenti; quello che ti posso garantire è il mio profondo interesse per questo blog e come me, credo molti altri che si limitano a leggerlo senza poi portare il proprio contributo su web. Immagino che questa situazione sia demotivante per chi cura il blog, ti invito però a non fermati, vedrai che col tempo il blog raccoglierà i suoi meritattissimi successi, la pubblicazione dell'articolo su Berlusconi ne è stato un esempio. Ciao j'Ascia

domenica, novembre 27, 2005

A proposito delle esternazioni di Cossutta sulla falce e martello

Bufera nel Partito dei Comunisti Italiani. Il leader spirituale del partito Armando Cossutta ha dichiarato di voler togliere il simbolo della falce e martello e ha aggiunto che a sua visione il comunismo è morto. Dichiarazioni ovviamente seguite da polemiche, Diliberto e Rizzo sono insorti. Eppure era ora che qualcuno di un partito comunista lo dicesse. La falce e martello riconduce a Stalin, ai gulag, a Pol Pot, a polizie politiche spietate, alla grande utopia del ‘900 e a tante altre nefandezze delle quali è stata vessillo. È giusto così, è la storia delle idee, che devono rinnovarsi per non diventare storia anch’esse. A mio avviso bisognerebbe pure eliminare la parola “comunista” dai partiti che la usano. Essa è il miglior strumento dei reazionari, dà agli avversari la possibilità di critiche troppo facili e dalle quali difendersi è troppo difficile. Sono convinto che un partito che avesse le stesse idee di rifondazione e che non si identificasse nella falce e martello avrebbe maggior successo che con essa e che uscirebbe dal purgatorio 4%, 6% di rifondazione. Il comunismo è morto. Comunismo significa auspicare una rivoluzione violenta, comunismo nelle parole di Marx è una spallata rivoltosa alla quale dovrà seguire la dittatura del proletariato. Tralasciando le critiche che pure sono reali alla visione dicotomica della società che aveva Marx (borghesia vs proletariato), non si può pretendere nel 2005 di fare proselitismo con queste idee. Guardate Alleanza Nazionale, è diventato partito a due cifre solo dal congresso di Fiuggi in poi ove si è ripulita dell’identità fascista. Sarà opportunismo, sarà ipocrisia ma in qualsiasi caso è l’unico comportamento possibile. Se i Bertinotti o i Rizzo non volessero giocare sul sicuro, sfruttando i voti dei “nostalgici”, un rinnovamento partendo dai simboli passando per l’impianto teorico sarebbe il toccasana della sinistra radicale. C’è chi dice che in Italia la falce e martello simbolo del P.C.I. non abbia fatto male a nessuno e che il comunismo nostrano è la storia della difesa della repubblica è la storia delle lotte sociali e tanto altro. Tutto vero, ma è difficile far capire all’uomo della strada che le Br, che i sequestri, che l’omicidio di Calabresi, che i disordini dal Sessantotto agli anni Ottanta, che le molotov, che le stragi fasciste stesse non siano frutto del nostro comunismo. La difesa del comunismo italiano è un lavoro da storici raffinati non da persone comuni. Aprite le pagine web dei mille partiti, partitini, movimenti, collettivi sedicenti comunisti che pullulano per la rete e vedrete che auspicano la rivoluzione, che si propongono come avanguardia cosciente del proletariato, che augurano il fucile in spalla agli operai, che scrivono come comunisti del 1920 o giù di lì e questo per l’elettorato è il comunismo, questo è la falce e martello. Chi è a sinistra degli ormai liberisti Ds non può farsi fregare da simboli triti ed anacronistici. Il comunismo deve rifondarsi veramente, trovando nell’evoluzione e nell’abbandono del giacobinismo ottocentesco marxista la via che porterà a difendere meglio le classi disagiate.
Non bisogna scordare che Berlusconi ha vinto le elezioni dando del comunista a tutti. Significherà qualcosa, no?

venerdì, novembre 25, 2005

Quanto vale un'acca

Quell’acca vale eccome. Così dimostra uno studio socio-linguistico sul termine “handicap”.
Ecco le parole del professore Paolo Poccetti in un intervento sul tema: “A differenza di altri segni alfabetici, alla lettera H non corrisponde nella lingua italiana alcun suono, Più tecnicamente l'acca in italiano - diversamente da altre lingue - non è che un grafema, il quale non solo non rappresenta nessun fonema, cioè un suono funzionale alla lingua, ma neppure una variante. In altre parole, l'acca è il segno che si scrive per convenzione, dovuta o a ragioni etimologiche (legata, cioè, all'origine delle parole che la recano) o a pura vezzosità, ma non si pronuncia: rappresenta, dunque, il silenzio.Le parole inizianti con H, con la sola eccezione delle III persone dell'indicativo presente del verbo avere, tradiscono la loro origine straniera, per lo più da lingue dove il segno indica un suono che è fonologicamente pertinente e che, invece, una volta che la parola è trasposta in italiano, si ammutolisce nelle pronunce meno accurate.
Le parole con H iniziale, conservando la veste ortografica alloglotta, segnalano immediatamente la loro estraneità al lessico italiano e diventano fin dall'inizio una spia di ciò che è diverso. Ovviamente diverso significa solo differente, ma non "estraneo", perchè una parola non è diversa di per sè, ma sono gli utenti della lingua a sentirla "diversa" e a renderla uguale alle altre, facendone parte integrante della varietà delle componenti del lessico. Per queste considerazioni il titolo Parole con l'acca è stato molto appropriatamente e, al tempo stesso, piacevolmente scelto dagli organizzatori di un convegno multidisciplinare sulla tematica dell'handicap, parola anch'essa appunto iniziante con l'acca.Nel suo campo semantico, handicap è la parola con l'acca per eccellenza, è l'arcilessema con cui si designano le molteplici condizioni di disagio nelle quali una persona può, per infiniti motivi e circostanze, trovarsi nella vita e che lo rendono ad un certo punto diverso dagli altri. Tuttavia - e qui viene il calzante parallelo con le vicende del lessico - a determinare la diversità non è tanto la condizione oggettiva, quanto piuttosto la considerazione soggettiva e le barriere, non solo architettoniche, ma soprattutto pregiudiziali degli altri. Handicap è una parola ormai acclimatata ed integrata nel lessico italiano a tal punto che il suo derivato andicappato si può scrivere anche senza l'acca, come sanciscono illustri dizionari, creando così una dissolvenza attraverso la lettera iniziale tra ciò che c'è e ciò che non c'è. D'altra parte, come handicap è un eufemismo per indicare una condizione disabilitante e dolorosa (talvolta meno sul piano fisico che su quello psichico), anche l'espressione parole con l'H per trattare la tematica che vi è sottesa è a sua volta un eufemismo. Insomma un eufemismo dietro un altro eufemismo...Se vi può essere una vera rivoluzione nel trattare la tematica dell'handicap, questa non può che partire dalla lingua, perchè - per riformulare il detto di Protagora - "la lingua è la misura di tutte le cose, di quelle che sono, in quanto sono, e di quelle che non sono, in quanto non sono". ”
Tutto questo a significare che il disagio si combatte partendo dalle piccole cose. Si combatte anche non cedendo al processo di anglicizzazione della lingua o alla voglia di esotico, soprattutto quando questa porta ad una sottile discriminazione nei termini...

venerdì, novembre 18, 2005

Un bambino di nome Google

Svezia, il neonato ha già sito e blog
I genitori italiani sono avvisati. Guai a storcere il naso durante l’appello se nella classe del figlio spunta un Kevin Rossi, un Brad Bianchi o una Janet Verdi. Tutti i padri e madri con la passione per nomi provenienti da Hollywood e dintorni sappiano che qualcuno ha osato di più. In Svezia una coppia ha dato al primogenito il nome del più famoso motore di ricerca disponibile in Rete. Esatto: Google. Proprio quello inventato da Larry Page e Sergey Brin, quello usato ogni giorno per cercare un ristorante o il biglietto low cost per andarsene in vacanza. Lunedì 12 settembre 2005 nella città svedese di Kalmar è, infatti, venuto al mondo Oliver Google Kai, un batuffolo di carne già diventato un fenomeno della Rete e dei blog in particolare. E c’è da scommetterci che quel neonato mai risponderà a sentirsi chiamare con un banalissimo “Oliver”.
L’idea di ribattezzare un essere umano con il più virtuale dei nomi è venuta a Walid Elias Kai, libanese di nascita, ricercatore nel settore hi-tech (autodefinitosi “fan di Google-dot-com” fin dal 1998) e dalla consorte svedese, Carol. “Scontato” che Google Kai affianchi alla vita reale fatta di pappe e pannolini da farsi cambiare una virtuale basata su un sito Web interamente dedicato all’evento-nascita e su un blog dove sono fotografati e raccontati i suoi primi quaranta giorni.
Dalle pagine del sito, si scoprono parecchie cose sulla genesi del nome affibbiato al neonato. Innanzitutto il padre si augura che un giorno il bimbo possa usare i servizi del motore di ricerca in oggetto con “passione, amore e in pace”. E quindi ammette di aver raccontato per tempo la proprio intenzione allo staff di Google.com. Fiero della sua scelta, Walid Elias mette online la risposta ricevuta da Karen Wickre, membro del team di Google Blog. Nella sua missiva il neo-papà ha raccontato la prima reazione dell’intera famiglia davanti alla sua scelta, la più scontata di tutti: incredulità e risate. “Mio fratello – si legge nella lettera di presentazione - mi suggerì di chiamare il secondo figlio Yahoo oppure Fuji oppure Nikon” (aggiungiamoci anche iPod, ndr). Ma ormai la strada era segnata e la famiglia Walid si è presentata all’anagrafe di Kalmar per registrare la nascita di Oliver Google Kai. Forse ancora non del tutto convinta di non esser davanti a uno scherzo ben poco virtuale, la Wickre augura a Google Kai una vita lunga, un’ottima salute, nella speranza che “i suoi compagni di scuola non si accaniscono contro di lui”.
Sul blog invece scorrono immagini di vita quotidiana con Walid Elias, Carol e figlio in giro per le strade svedesi. Segue l’immancabile galleria fotografica pressoché giornaliera di Google Kai con tanto di tutina bianca con la scritta “Google”. Preso atto dell’avvenuta registrazione, pare che in molti siano corsi a riscrivere la storia di Internet e di uno dei suoi motori di ricerca. Va infatti modificata la risposta a una delle domande più diffuse: “Chi è il papà di Google?”
Sauro Legramandi
tratto da www.tgcom.it

Per chi volesse vedere le foto del piccolo Google o il suo sito basta andare su
www.google-kai.com
Come commentare questa folle storia?...

mercoledì, novembre 16, 2005

Per evitare "onde evitare"...


Scrivere e parlare bene, in italiano corretto, non è cosa facile. La lingua è un sistema complesso e multiforme, è un animale vivissimo ed indomabile, per giunta ancora più inferocito perché costretto nelle anguste gabbie della grammatica normativa. La persona media, di fronte una lettera, inizia con un “egregio signor Taldeitali” per poi incastrarsi nei “vista la precedente questione sicché allorquando mi diede notizia acciocché…” per finire a scoppiare a piangere dopo le prime due subordinate. Per di più, senza impelagarsi in discorsi di grande complessità, spesso si è confusi proprio dalle regolette che ci hanno insegnato a scuola che spesso godono di una buona dose di arbitrarietà e fanno sì che non si sappia più usare la lingua nella sua complessità. Davvero brutto però è l’uso delittuoso, ignorantemente fanatico e privo di ragioni d’essere dell’italiano. Caso è questo delle locuzioni con “onde + infinito” tipo la abusata locuzione “onde evitare”. Allora vediamo un po’ che significa questo “onde”: Il suo primo significato è di avverbio di moto da luogo (lat. unde), quindi significa “da dove” come “donde”. “Onde venisti?” (CARDUCCI) cioè da dove venisti. Da questo significato originario sono scaturiti tutti gli altri. Così vediamo “onde” usato come pronome invariabile coi significati di “di cui, da cui, per cui, con cui”. Come nei seguenti esempi: “i libri onde (di cui) mi parlasti”; “il paese onde (da dove) ritorni”; “il denaro onde (con cui) acquistarmi da vivere”; “ecco la causa onde (per cui) non mi fu possibile venire”. Tutte forme poco usate e che suonano come obsolete. Ancora, “onde” è usato come congiunzione col valore di “perché, affinché” “ti avverto del pericolo onde (affinché) tu possa guardartene”. E, almeno per ciò che riguarda l’ortodossia della lingua basta, stop, gli usi sono solo questi. Però per motivi che ignoro è di moda, fa molto colto, usare onde più il verbo all’infinito col significato di “per”, “al fine di”. Quindi, racconto anche di miei amici, mi è capitato di sentire persone che in momenti in cui volessero apparire oltremodo delicati e forbiti dicessero “onde evitare problemi”; “onde evitare il traffico”. Uso che non corrisponde al suo etimo, alle sue attestazioni storiche, uso arbitrario e patetico. Patetico perché pirandellianamente parlando nulla è più brutto di chi si atteggia a ciò che non è o non può essere; così la vecchia che si imbelletta sarà comica e patetica come l’ “onde” a sproposito magari pure per cercare una forma aulica. Ho tristemente notato che questo uso è d’ordinaria in tv. Quindi al fine di evitare brutte figure onde arrecheremo danno alla nostra immagine useremo il più normale, e non perciò poco fine, “al fine di” o “per”.

martedì, novembre 15, 2005

La P2. Lo scandalo messo a tacere.

La loggia massonica Propaganda Due, più nota come P2, fu una delle logge massoniche del Grande Oriente d'Italia dedicate al fine di reclutare nuovi adepti alla causa massonica; fu una loggia "coperta", cioè segreta, e questa circostanza, insieme alla caratteristica di riunire appunto in segreto circa mille personalità di primo piano, principalmente della politica e dell'Amministrazione dello Stato italiano, suscitò uno dei più gravi scandali della storia della Repubblica. La complessità e la vastità delle implicazioni del "caso P2" fu tale che ne scaturirono leggi speciali che limitarono il diritto costituzionale di associazione e che misero in discussione la stessa legittimità della massoneria. La loggia Propaganda Due, nata già segreta, era stata creata, pare, all'inizio del Novecento, ma sarebbe sempre stata una loggia poco attiva, almeno sino a dopo la Seconda guerra mondiale, quando fu utilizzata per "ospitare" massoni importanti che desideravano restare "coperti". Nel 1969 fu chiesto all'allora sconosciuto Licio Gelli di cominciare ad occuparsene. Gelli era un piccolo imprenditore toscano con un passato fascista (tanto da andare a combattere come volontario nella Guerra civile spagnola e da essere agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), attivo negli ambienti dei servizi segreti e del quale si è detto che fosse vicino alla CIA e ad ambienti conservatori statunitensi e sudamericani; il 19 giugno del 1970 Lino Salvini (Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia) pose di fatto Gelli a capo della loggia, inizialmente con la nomina a "segretario organizzativo". Circa i contatti di Gelli e le sue asserite amicizie, egli stesso, del resto, vantava profonde aderenze presso la "corte" del generale argentino Juan Domingo Peron; questa asserita prossimità pare quantomeno non smentita da una famosa fotografia che lo ritrae alla Casa Rosada insieme al presidente ed a Giulio Andreotti. Per ragioni sconosciute, la carriera all'interno della Massoneria di Licio Gelli fu rapidissima. Questi, una volta preso il potere al vertice della Loggia, la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari. Nel 1973 la loggia "Giustizia e Libertà", anch'essa segreta e - almeno nel nome - erede delle influenze della massoneria su alcune frange della Resistenza italiana, si fuse nella P2. Dopo alcuni vani tentativi di scioglierla, mossi da gruppi interni alla stessa massoneria, la loggia fu ufficialmente ricostituita e Gelli fu presto promosso "Maestro Venerabile". L'attività piduista crebbe di intensità e di orizzonti, cominciando ad operare anche all'estero (pare riconosciuto che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela e in Romania, paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche). Circa le motivazioni per le quali personaggi tanto affermati vi avrebbero aderito, secondo taluni l'abilità del Gelli sarebbe consistita nel sollecitare il diffuso desiderio di mantenere ed accrescere il proprio potere personale; a costoro, l'iscrizione alla loggia sarebbe apparsa di estrema opportunità per raggiungere posizioni di potere di primaria importanza, anche eventualmente partecipando ad azioni coordinate al fine di assicurarsi il controllo sia pure indiretto del governo e di numerose alte istituzioni pubbliche e private italiane. Secondo altre interpretazioni, la lista altro non sarebbe stata che un punto di raccordo fra diverse spinte che già prima andavano organizzandosi per influire sugli andamenti politici dello Stato. Non va dimenticato che proprio in quegli anni montava la strategia della tensione e che da molte parti della società si auspicava una svolta politica di impronta decisa, capace di sopperire alla perniciosa inefficienza sociale, economica e pratica dell'impianto statale. Pochi mesi prima della nomina di Gelli a capo della P2 era scoppiata la bomba di piazza Fontana a Milano, e pochi mesi dopo il generale Junio Valerio Borghese avrebbe allestito il famoso "Golpe Borghese", noto anche come "tentato golpe dei forestali". A posteriori, la Commissione parlamentare d'inchiesta ricostruì che verso la fine degli anni Settanta il rapporto fra Gelli ed i suoi amici-alleati americani e dei servizi segreti si sarebbe incrinato, e sarebbero cominciate a circolare sollecitazioni a farsi da parte, inoltrate anche nella suggestiva forma di fornire al giornalista scandalistico Mino Pecorelli (poi assassinato) il famoso rapporto "Cominform" (perché lo pubblicasse ed avanzasse così il sospetto che Gelli agisse per qualche servizio segreto di Paesi comunisti). Gelli reagì rilasciando un'imprevista intervista, nella quale si suppone abbia inviato messaggi in codice, ma sembra accertato che, poco dopo, un uomo di fiducia di Michele Sindona abbia fornito ai giudici di Milano elementi sufficienti per interessarsi del capo della loggia. La scoperta della lista e del programma Il 17 marzo 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di una inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli a Castiglion Fibocchi, presso Arezzo, la nota "Villa Wanda" e la fabbrica che possiede (la "Giole" - divisione giovane di "Lebole"); l'operazione fu eseguita dalla Guardia di Finanza, che scoprì fra gli archivi della "Giole" una lista di 953 iscritti alla loggia P2, fra i quali il comandante generale dello stesso Corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell'esistenza di un'organizzazione che mirava a prendere il possesso delle leve del potere in Italia: il "piano di rinascita democratica", un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l'avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un preventivo dei costi per l'acquisizione delle funzioni vitali del potere: La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo. A chiare lettere si indicavano come fini primari (il termine "obiettivi" è usato in quel testo in senso militare, per "bersagli" di blandizie) il riordino dello stato in senso istituzionalistico, il ripristino di un'impostazione selettiva (forse classista) dei percorsi sociali, insomma - secondo molti - una svolta autoritaria. Ma i dettagli del programma non erano di minor interesse. Se da un lato si propugnava la "abolizione della validità legale dei titoli di studio", giustificata dalla carenza di tecnici in tempi di disoccupazione intellettuale, dall'altro lato occorreva "ripulire il paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive", sempre che la magistratura volesse decidersi a condannarli. Portare il Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo dell'esecutivo, separare le carriere dei magistrati, rompere l'unità sindacale e abolire il monopolio della Rai erano solo alcuni dei punti del progetto. Le persone "da reclutare" nei partiti, dal canto loro, dovevano ottenere addirittura il "predominio" (testuale) sulle proprie organizzazioni, mentre i giornalisti "acquisiti", a maggior gloria della già allora discussa categoria, avrebbero dovuto "simpatizzare" per gli uomini segnalati dalla loggia. Il programma, contenente quel tanto di politichese e di demagogico da poter sostenere il vaglio dell'ingenua forma, non era in realtà che una sorta di memorandum che preannunciava una serie di pressioni e di azioni che avrebbero mirato a conquistare il potere per conferirlo a fidati amici della loggia. Alcuni analisti odierni non mancano di rimarcare che comunque molti degli argomenti trattati in quel programma sarebbero poi stati portati ad esistenza da governi successivi. Nonostante l'Italia fosse da secoli avvezza alla disinvoltura ed alla spregiudicatezza in politica, tanto da vantarne anche celeberrima letteratura specifica, la sensazione generale fu correttamente definita da molti interpreti del tempo come di "attonito sgomento". La lista fu tenuta riservata per qualche tempo dopo la scoperta, ed i tentennamenti di Arnaldo Forlani nel renderla pubblica gli costarono la carica di premier e qualche tempo di lontananza dal proscenio. Una volta resa pubblica, divenne presto memorabile. Tra i 932 iscritti, spiccavano i nomi di 44 parlamentari, 3 ministri, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche di giornalisti ed imprenditori come Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia e Maurizio Costanzo; in compagnia di Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI), Duilio Poggiolini e l'ormai televisivo professor Fabrizio Trecca, insieme a tutti i capi dei servizi segreti italiani e ai loro principali collaboratori. Circa quest'ultimo settore, si notò che vi erano iscritti non solo i capi (fra i quali Vito Miceli e Giuseppe Santovito), che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Fra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei famigerati "fascicoli" del SIFAR), il colonnello Minerva (gestore fra l'altro dell'intricato caso dell'aereo militare "Argo 16" e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra) ed il generale Gianadelio Maletti, che con il capitano Antonio La Bruna (anch'egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato. La naturale funzione dei servizi segreti, va osservato, sarebbe effettivamente ben compatibile con la possibile infiltrazione di elementi, anche in questa organizzazione, per legittimi motivi di servizio; la concentrazione, però, di così tanti elementi, e di che grado, non è mai riuscita a volare indenne sopra il sospetto. Fu avanzata l'ipotesi che la lista trovata a Villa Wanda non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della Commissione d'Inchiesta, ai circa mille della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l'anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, in un'intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti. Circa il vertice occulto, poi, è nota la clamorosa accusa formulata dalla vedova di Roberto Calvi, che indicò in Giulio Andreotti il "vero padrone" della loggia, ma di tale affermazione non sono mai state raccolte evidenze di interesse. È bensì vero che Andreotti aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires. Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti. Il capo del governo in carica, Arnaldo Forlani, fu costretto alle dimissioni nel giugno 1981 perché, più o meno volontariamente, ritardò la conferma del ritrovamento e la pubblicazione delle liste. Al suo posto fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, il primo premier non democristiano della storia repubblicana, forse designato proprio per la necessità di una figura potenzialmente poco legata agli ambienti delle istituzioni. Dalle sinistre, infatti, prontamente si era levata una violentissima campagna d'accusa che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento (ma anche l'accostamento, si sa, in politica è un fatto) di esponenti dei partiti di governo e del PSI (antica "concorrente" a sinistra del partito di Berlinguer). Soprattutto i comunisti, effettivamente, avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo ed ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento ad interessi di potenze straniere. Mentre, impauriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano disperatamente sino a superare l'evidenza (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione di un neonato telegiornale di un'emittente privata), altri come Roberto Gervaso erano rimasti a corto di adeguati aforismi oppure, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della RAI, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste.
Elenco per categorie lavorative degli iscritti
MILITARI E FORZE DELL'ORDINE: 208
UOMINI POLITICI: 67
DIRIGENTI MINISTERIALI: 52
BANCHE: 49
INDUSTRIALI: 47
MEDICI: 38
DOCENTI UNIVERSITARI: 36
COMMERCIALISTI: 28
AVVOCATI: 27
DIRIGENTI INDUSTRIALI: 23
GIORNALISTI: 27
MAGISTRATI: 18
IMPRENDITORI: 18
LIBERI PROFESSIONISTI: 17
SOCIETA' PRIVATE (Presidenti): 12
SOCIETA' PUBBLICHE (Dirigenti): 12
ATTIVITA' VARIE: 12
SEGRETARI PARTICOLARI (politici) 11
ASSOCIAZIONI VARIE: 10
ENTI ASSISTENZIALI E OSPEDALIERI: 10
FUNZIONARI REGIONALI: 7
DIRIGENTI COMUNALI: 8
SOCIETA' PUBBLICHE (Presidenti): 8
SINDACALISTI: 2
DIPLOMATICI: 9
PROVVEDITORI AGLI STUDI: 2
COMMERCIANTI: 1
CONSULENTI FINANZIARI: 4
COMPAGNIE AEREE: 8
EDITORI: 4
DIRIGENTI EDITORIALI: 6
SCRITTORI 3
DIRIGENTI RAI-TV: 10
COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE: 6
ARCHITETTI: 7
NOTAI: 4
ANTIQUARI: 6
ALBERGHI (Direttori): 4

Aprile 2005: Impieghi di alcuni dei tesserati

Silvio Berlusconi (tessera n.1816): Presidente del Consiglio dei Ministri
Fabrizio Cicchitto (tessera n.2232): deputato e vicecoordinatore nazionale di Forza Italia, nonché editorialista de Il Giornale.
Roberto Ciuni (tessera n.2101): collaboratore de Il Giornale e Panorama.
Maurizio Costanzo (tessera n.1819): conduttore di Buona Domenica e de Il diario su Canale 5 nonché consulente per La 7.
Giuseppe Croce (tessera n. 2071): Giudice per le Indagini Preliminari a Roma.
Massimo De Carolis (tessera n.1815): avvocato attuale esponente di Forza Italia.
Massimo Donelli (tessera n. 2207): attuale direttore di TV Sorrisi e Canzoni (Gruppo Mediaset).
Publio Fiori (tessera n. 1878): deputato di Alleanza Nazionale e attuale vicepresidente della Camera.
Roberto Gervaso (tessera n. 1813): ha una rubrica fissa su Rete 4 (Peste e corna) e sul Messaggero.
Enrico Manca (tessera n. 2148): dirige l'associazione "Pol-Is" per il "rinnovamento della politica e della democrazia". Attualmente nelle file del partito della Margherita.
Antonio Martino (aveva presentato domanda scritta di affiliazione, non fecero in tempo ad approvare il suo ingresso nella P2): Ministro della Difesa.
Roberto Memmo (tessera n. 1651): avvocato e finanziere dirige la "Fondazione Memmo per l'arte e la cultura".
Paolo Mosca (tessera n.2100): oggi direttore del rotocalco Vip e titolare di rubrica fissa quotidiana su Unomattina, in Rai.
Gino Nebiolo (tessera n. 2097): attuale giornalista de Il Foglio di Giuliano Ferrara e del Giornale di Sicilia.
Rolando Picchioni (tessera n.2095): attuale segretario della Fondazione del Libro di Torino (ente organizzatore del Salone del Libro) e direttore esecutivo del World Political Forum.
Angelo Rizzoli (tessera n. 1977): attuale produttore di cinema/tv per Rai e Mediaset.
Vittorio Emanuele di Savoia (tessera n. 1621): mediatore d'affari.
Gustavo Selva (tessera n.1814): deputato di Alleanza Nazionale, attuale presidente della Commissione Esteri.
Alberto Sensini (piduista "interruptus", come Antonio Martino): giornalista del Gazzettino.
Fabrizio Trifone Trecca (tessera n. 1748): medico, titolare di rubrica fissa di medicina "Vivere bene" su Rete 4.
Giancarlo Elia Valori (fascicolo n. 0283, espulso dallo stesso Gelli): Presidente della Società Italiana Autostrade e del consorzio di telefonia "Blu" e attuale Presidente dell'Unione Industriale di Roma.

domenica, novembre 13, 2005

Luttazzi e Berlusconi


Daniele luttazzi è insieme a Biagi e Santoro un epurato da Berlusconi.
Dietro le sue gag talvolta, in apparenza, triviali si nasconde un fine intellettuale. Fiutato questo, Berlusconi lo ha fatto fuori. Qui sono riportati due pezzi di un suo spettacolo. Il primo tratta della querela di Berlusconi a Luttazzi, il secondo del golpe al rallentatore che Berlusconi sta portando a termine.
clicca qui sotto per ascoltare i file.
http://www.news.danieleluttazzi.it/files/luttazzi_berlusconi_querela.mp3
http://www.news.danieleluttazzi.it/files/luttazzi_golpe_rallentatore.mp3

sabato, novembre 12, 2005

Come salvare molte vite dalla Morte Cardiaca Improvvisa. A cura di "J" ascia


Ogni anno in Italia una persona su mille è colpita da un evento fatale definito Morte Cardiaca Improvvisa (quello che erroneamente viene chiamato infarto); quest’evento rappresenta la più alta causa di mortalità nel nostro paese (ben 57000 persone l’anno!) superando di gran lunga i tumori ed altre patologie croniche.
Cos’è di preciso la Morte Cardiaca Improvvisa (o arresto cardiaco)? Vediamo un paio di definizioni:
“Un decesso per cause naturali che si verifica entro breve tempo dalla comparsa dei sintomi, in un soggetto apparentemente sano o comunque il suo stato di malattia non faceva presagire un esito fatale così improvviso.”
Ed ancora:
"Morte naturale dovuta a cause cardiache, caratterizzate da perdita istantanea di conoscenza entro 1’ ora dall'insorgenza dei sintomi acuti. Una eventuale cardiopatia preesistente può o meno essere stata precedentemente diagnosticata, ma il momento ed il modo sono inaspettati".
A livello prettamente clinico può essere definita come la cessazione brusca ed improvvisa dell’attività cardiaca; il sangue non circola più nell’organismo ed i tessuti non ricevono più ossigeno, in pochi minuti si ha la distruzione delle cellule cerebrali con conseguente morte clinica. La percentuale dei sopravvissuti (fra cui c’è anche Umberto Bossi…) è veramente esigua, basti pensare che a Roma solo l’1% riesce a salvarsi.
Eppure l’ 85% di queste persone poteva (e potrà) salvarsi; esiste uno straordinario apparecchio chiamato defibrillatore che è in grado ripristinare la normale funzionalità cardiaca, quindi di “resuscitare” il paziente.
Quando può essere utilizzato il defibrillatore? Può essere utilizzato in tutte quelle condizioni definite aritmie maligne (fibrillazione ventricolare e tachicardia ventricolare), che sono nell’85% dei casi responsabili della morte cardiaca improvvisa; il successo di tale pratica si scontra però con il fattore tempo: ogni minuto trascorso (in assenza di massaggio cardiaco, il quale in queste situazioni non è una manovra terapeutica, ma solo di mantenimento) la probabilità di riuscita della defibrilazione diminuisce del 10%, è quindi impensabile sperare di affidarsi al 118, dato che anche nel migliore dei casi l’ambulanza impiega almeno 5 minuti prima di arrivare.
Da chi può essere usato un defibrillatore? Esistono tre tipi di defibrillatore:
- AUTOMATICO: viene impiantato con un piccolo intervento nei soggetti a rischio.
- MANUALE: può essere utilizzato solo da operatori sanitari (per intenderci quello che si
vede su E.R.)
- SEMI-AUTOMATICO: può essere utilizzato da tutti! Infatti secondo la legge 3 aprile 2001 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2001:
“Art. 1: È consentito l'uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardio-polmonare…”
Questa formazione specifica di cui parla la Legge è attualmente affidata ad una società: l’ I.R.C., la quale effettua corsi della durata 5 ore che abilitano all’utilizzo di tale dispositivo.
Tenuto conto della semplicità d’uso del defibrillatore semi automatico e della sua relativa economicità (il prezzo si aggira intorno ai 1.500-2.500 euro) mi chiedo come mai le istituzioni non predispongano progetti concreti per la sua diffusione capillare. In America qualche stato l’ha già fatto, ad esempio a Seattle sono stati posti defibrillatori nei luoghi chiave della città (edicole, tabaccai, palestre), gran parte della popolazione è stata addestrata al suo utilizzo, i risultati non si sono fatti attendere, attualmente se si è colpiti da arresto cardiaco a Seattle la probabilità di sopravvivenza è del 30%.
Si sa, siamo in Italia…dagli Stati Uniti esportiamo solo ciò che c’è di negativo, nelle scuole si fanno migliaia di cose inutili e mai (almeno nella mia esperienza) una lezione dedicata al primo soccorso, si organizzano campagne di prevenzione (o per meglio dire di terrorismo) nei confronti di patologie irrilevanti, a Roma il comune ed i Municipi spendono milioni di euro per la notte bianca ed intanto la sopravvivenza in caso di arresto cardiaco rimane sempre dell’1%....
“J” Ascia

martedì, novembre 08, 2005

Un omicidio tutto romano. L'omicidio del coatto della magliana.


Lo avrei dovuto fare un mese fa. Lo avevo già progettato, ideato. Un bel post su un fenomeno tutto romano, che solo i romani conoscono e che il grande pubblico italiano ignora o conosce nelle sue forme simpatiche. Il fenomeno dei coatti, romanamente parlando, dei bulli di quartiere. Avrei voluto fare un post ironico ma anche amaro su questo malcostume. Avevo in mente di paragonarlo ad una piccola mafia o camorra o ‘ndrangheta, di scrivere che la “coattaggine” non è criminalità organizzata ma comunque codificata, fatta di riti, gestualità, modi di dire, di fare, di agire. Volevo scrivere che la coattaggine (da adesso in poi non più virgolettata) è il drammatico esito dei vuoti di pensiero, è ciò che prende il posto delle ideologie, è quel malcostume che può anche rovinare una città. Avevo pensato di darle anche un nome latino, per trattarla come una caratteristica etologica, zoologica, fare come nei documentari dove si narra freddamente e alteramente il comportamento di una specie. Cose tipo:”il maschio dominante del coactus urbanus espleta la sua leadership...” e così via. Poi non me la sono più sentita di essere ironico, perché incolpo di un fatto di cronaca la coattaggine stessa. Il fatto è quello di quel manovale ucciso a revolverate per un micro che più micro non si può urto con la macchina. Aveva sbattuto contro il Golf di un coatto (diciamolo da subito) uno spintone, la colluttazione, il ritorno del coatto con gli amici e la morte, l’assassinio. Futilità, forse per voi, per me non per il coatto. Le cronache dei giornali parlano dell’autore del delitto e dei suoi complici come “bulli di quartiere” o “bulli di bande giovanili”. Ma noi, noi romani, noi romani delle periferie lo sappiamo bene che non erano bulli, perché a momenti neanche sappiamo che significa bullo, noi sappiamo bene che era un coatto. È questo il nostro problema. Tutti noi sappiamo quanto sia importante per il ragazzino far sapere o credere al mondo che è un malavitoso, sappiamo che l’adolescente romano finge sempre di conoscere malavitosi vari, finge si spacciare, di essere un figlio di una cagna. L’adolescente romano in via di coattizzazione, se litiga promette di tornare con gli “amici”, che amici non sono, ma sono, celati dal termine, piccoli cattivelli che picchiano come grandi pezzi di merda. I ragazzi a Roma crescono col mito di picchiare, essere più malavitoso l’uno dell’altro. E allora a Roma è più facile fare una rissa in auto, fare a cazzottoni per una ragazza, è più facile sprangarsi per uno sguardo è più facile uccidere, è più facile morire. È più facile che da tante altre parti. Forse pure di Palermo o Napoli. Perché lì ti uccide il criminale vero non il ragazzo che ha tutto ma proprio tutto, il ragazzo che se torna a casa con un graffio i genitori lo cazziano. “Aoh, quello c’ha l’amici de tor bella” “ quello lascialo sta che è matto scocciato” “quello spigne e c ‘ha er cugino che pippa”. E quanti sono quei “quello”! E tutti li abbiamo conosciuti. Una camorrina di serie b, un malcostume tutto romano, la fierezza dell’inciviltà. Difficile da definire per l’opinione pubblica nazionale ma noi non possiamo mentire a noi stessi, noi sappiamo bene di che si tratta. Sono i coatti. Sono io, sei tu che leggi quando siamo un po’ più stupidi del solito. Siamo noi, romani. Con questa subcultura bifida che regna è facile uccidere, perché ogni occasione è buona per far vedere che “io so più scocciato de te” che “io te parto facile”. Li abbiamo incontrati, o lo siamo stati, alle medie, poi ce li siamo portati appresso alle superiori, ora sono a lavoro, all’università con noi. Accendi la tv ed il comico romano te lo rende pure simpatico, il coatto. Ti fa ridere perché è grottesco è neanderthaliano, ma poi ti fa incazzare quando sei a casa e vuoi dormire e ti sta sotto casa con la musica a mille decibel , ti fa irritare in macchina quando passa impunemente allo stop, ti fa ridere allo stadio (a me no, a molti pare di sì) quando fa uh uh uh al nero che gioca. In genere è di destra, ma non gli importa più di tanto di politica è solo una moda per il coatto essere di destra, è ben vestito, nel senso che i suoi indumenti costano, è affascinato da certe tipologie di auto, la Golf per dirne una, guarda caso. E chi più ne ha più ne metta. Noi romani lo sappiamo bene chi è. Sappiamo pure che solo noi possiamo saperlo. In Sicilia nel dopo guerra, i politici, gli intellettuali prezzolati, i mafiosi stessi si chiedevano fintamente ingenui “che cos’è la mafia?” e si rispondevano “la mafia non esiste, la fantasia popolare porta a collegare crimini slacciati. Dov’è questa mafia?”. È intorno a noi, è un malcostume, è l’abitudine a tollerare l’intollerabile, è l’omertà. Lì si chiama mafia, laggiù camorra, da un’altra parte baby gang, qui è il coatto. Parafrasando un passo del film sulla mafia “i cento passi”, diciamolo, a noi essere coatti ci piace, ci dà sicurezza, ci identifica.

lunedì, novembre 07, 2005

Pol Pot. Biografia di un assassino di massa.


Saloth Sar nacque il 19 Maggio 1925 nella provincia di Kompong Thom in Cambogia, ma verrà drammaticamente consegnato alla storia col nome di Pol Pot. Fondatore del Partito comunista cambogiano, nel 1963 organizzò le formazioni guerrigliere dei Khmer Rossi, un movimento rivoluzionario fondato da lui medesimo dapprima in opposizione al governo del principe regnante Norodom Sihanouk, successivamente contro il governo filostatunitense di Lon Nol deposto poi nel 1975, questa vittoria gli permise di divenire primo ministro, iniziava così per la Cambogia, un' epoca di terrore. I crimini perpetrati da Pol Pot restano ancora oggi una delle pagine più buie e brutali della storia. Iniziò in Cambogia l' "Anno zero", come gli stessi Khmer rossi lo battezzarono. Il primo passo di Pol Pot fu di svuotare la capitale Phnom-Penh, imponendo ai 2 milioni d'abitanti di andare a lavorare nelle campagne presso campi di lavoro dove venivano miseramente ridotti in schiavitù; iniziò il terrore. Si intendeva rifondare l'intera società cambogiana su base comunista e contadina: le popolazioni delle città furono deportate nelle campagne, migliaia e migliaia di professionisti furono massacrati, per Pol Pot ogni intellettuale era un nemico, furono distrutti tutti i simboli della civiltà occidentale: automobili, attrezzature mediche, macchinari, qualsiasi elettrodomestico, vennero bruciati tutti i libri, demolite case, abolite le scuole, chi veniva trovato in possesso di matite o sorpreso a scrivere, veniva immediatamente ucciso, soppressa l'educazione scolastica veniva consentita solo quella nei "campi di rieducazione" dove circa quattro milioni di persone (il 25% della popolazione) persero la vita.
Fu dichiarata fuorilegge la proprietà privata, abolita la moneta. Non esistevano più servizi postali, negozi, attività sportive. Tutti, furono costretti a vestirsi con una casacca nera a maniche lunghe, abbottonata fino al collo, manifestazioni d'affetto, abbracci, liti, lamentele di qualsiasi tipo o piangere venne vietato.La Cambogia divenne un immenso campo di lavori forzati; le famiglie furono separate e inviate nei campi di lavoro dove la fame, le condizioni igieniche e la brutalità dei Khmer rossi erano problemi quotidiani, i suicidi salirono a percentuali impressionanti.Chi tentava la fuga se scoperto, veniva immediatamente ucciso, bastava un nonnulla per morire. I portatori di handicap fisici, non potendo lavorare, erano considerati solo dei "parassiti" e, come tali, giustiziati immediatamente. A migliaia furono messi a morte perché sorpresi a contendere ai maiali la crusca per sfamarsi, il riuscire a mangiare dei topi rappresentava, spesso, l'unica alternativa. Si diffuse anche il cannibalismo, fenomeno tutt'altro che raro tanto che negli ospedali divenne consuetudine cibarsi di coloro cha passavano a miglior vita.Le brutalità, le torture e le punizioni inflitte dai Khmer rossi a coloro che si rendevano colpevoli di reati, erano di una crudeltà inimmaginabile, dai bambini picchiati a morte con calci e pugni perché rubavano cibo, alle spille con il numero d'identificazione che erano attaccate direttamente sulla pelle dei condannati. A tanti, appesi a testa in giù, era infilata la testa in giare piene di olio bollente, ma uno dei sistemi più in voga nella repressione dei "nemici della Rivoluzione" fu sicuramente la morte per asfissia causata da sacchetti di plastica infilati in testa. Chi era arrestato era sempre colpevole e, se "fortunato", era giustiziato immediatamente, altrimenti era condannato a morire a poco a poco, di torture, di sevizie, di fame.Diventerà tristemente famoso un complesso-prigione denominato S-21 (Toul Sleng), una costruzione dove tutti quelli che erano considerati nemici del governo erano fotografati, torturati ed infine uccisi. Furono uccise oltre 20.000 persone, di cui circa 2.000 erano bambini. Sono state migliaia le fotografie recuperate, dopo la caduta di Pol Pot, di persone (vecchi e bambini), di cui si è persa qualsiasi traccia.La paura d' essere vittima di complotti "controrivoluzionari" spinse Pol Pot a diffidare di tutto e di tutti al punto da far internare e morire nei campi di lavoro anche i suoi 2 fratelli.L' inimicizia con il Vietnam si trasformò in conflitto, a causa dei continui massacri perpetrati dai Khmer ai danni dei profughi cambogiani che sconfinavano in Vietnam nella ricerca di una estrema speranza di salvezza. Deposto nel gennaio 1979 dai vietnamiti che avevano invaso la Cambogia, Pol Pot riuscì a mantenere il controllo di alcune regioni del paese e a condurre sanguinose azioni di guerriglia contro il regime. Lasciato ufficialmente il comando dei Khmer Rossi nel 1985, continuò a vivere in clandestinità facendo perdere le sue tracce. Nel 1996 alcune fonti annunciarono la sua morte, ma il dittatore fece la sua ricomparsa nel 1997, quando venne usato dai guerriglieri khmer come merce di scambio con il nuovo regime, da essi ora appoggiato. Ricercato per essere sottoposto al giudizio di un tribunale internazionale per crimini contro l'umanità, nell'aprile del 1998 fonti cambogiane diedero notizia della sua morte, avvenuta in una località della giungla ai confini con la Thailandia, dove Pol Pot era tenuto prigioniero dai suoi ex seguaci. Suicidio? morte naturale per attacco cardiaco? Complotto?, che importa...l'umanità ripudia esseri come Pol Pot, responsabile di genocidio , regista implacabile di scelleratezze, efferatezze, crudeltà, coordinatore ed esecutore di azioni contro l'essere uomo nella sua universalità.
Giacomo Franciosi
tratto da www.cronologia.it

martedì, novembre 01, 2005

Pier Paolo Pasolini. 30 anni dalla morte


Trent'anni fa moriva Pier Paolo Pasolini. Ucciso, secondo la versione ufficiale, da un ragazzetto incontrato quello stesso giorno a fini sessuali. In realtà il suo omicidio è un caso complessissimo dal quale finora sono uscite molte ipotesi e una certezza: Pasolini non fu ucciso per caso, non fu ucciso da un litigio con un ragazzo che non voleva offriglisi. Molto probabilmente Pasolini è stato una delle tante vittime degli oscuri anni 70, dei servizi segreti deviati, della strategia della tensione, della collusione mafiosa dei governi e di tanto altro che egli stesso denunciò.

Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Cos'è questo golpe? Io so
di Pier Paolo Pasolini

Io so.Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

Poeta, regista, scrittore, Pier Paolo Pasolini mostra sulle colonne del “Corriere della Sera” la veste di acceso polemista, impegnato sui grandi temi civili e politici. Da uno dei suoi articoli più clamorosi (la proposta di un processo alla classe politica dominante) riportiamo alcuni fra i brani più incisivi: è un’immaginaria Norimberga che giudica i reati di arroganza e corruzione. .

[pubblicato nel “Corriere della Sera” del 24 agosto 1975] . . Il processo ... Dunque: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la CIA, uso illecito di enti, come il SID, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità. questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come si usa dire, paurosa delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell'abbandono «selvaggio» delle campagne, responsabilità dell'esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari anche distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. [...] L'immagine di Andreotti o Fanfani, di Gava o Restivo, ammanettati tra i carabinieri, sia un'immagine metaforica. Il loro processo sia una metafora. Al fine di rendere il mio discorso comico oltre che sublime (come ogni monologo!), e soprattutto didascalicamente molto più chiaro. Cosa verrebbe rivelato alla coscienza dei cittadini italiani da tale Processo (oltre, si intende, alla fondatezza dei reati più sopra enunciati secondo una terminologia etica se non giuridica)? Verrebbe rivelato ai cittadini italiani qualcosa di essenziale per la loro esistenza, cioè questo: i potenti democristiani che ci hanno governato negli ultimi dieci anni non hanno capito che si era storicamente esaurita la forma di potere che essi avevano servilmente servito nei vent’anni precedenti (traendone peraltro tutti i possibili profitti) e che la nuova forma di potere non sapeva più (e non sa) che cosa farsene di loro. Questa «millenaristica» verità è dunque essenziale per capire (al di là del Processo e delle sue condanne penali) che è finita l'epoca, appunto millenaria, di un «certo» potere ed è cominciata l'epoca di un certo «altro» potere. Ma soltanto un Processo potrebbe dare a questa astratta affermazione i caratteri di una verità storica inconfutabile, tale da determinare nel paese una nuova volontà politica. Una volta condannati i nostri potenti democristiani (alla fucilazione, all'ergastolo, all'ammenda di una lira, cosa di cui qualsiasi cittadino infine si accontenterebbe) ogni confusione dovuta a una falsa e artificiale continuità del potere democristiano verrebbe vanificata. L'interruzione drammatica di tale continuità renderebbe al contrario chiaro a tutti non solo che un gruppo di corrotti, di inetti, di incapaci è stato democraticamente tolto di mezzo, ma soprattutto (ripeto) che un'epoca è finita e ne deve cominciare un'altra. Se invece questi potenti resteranno ai loro posti di potere – magari scambiandoseli un'ennesima volta –, se cioè la Dc, e con essa, quindi, il paese, opteranno per la continuità, più o meno drammatizzata, non sarà mai chiaro, per esempio, il fatto che gli italiani oggi sono laici almeno nella misura in cui fino a ieri erano cattolici, oppure che i valori dello sviluppo economico hanno dissolto tutti i possibili valori delle economie precedenti (insieme a quelli specificatamente ideologici e religiosi), oppure ancora che il nuovo potere ha bisogno di un nuovo tipo di uomo. Ora (o almeno così sembra a un intellettuale solo in mezzo a un bosco) gli osservatori politici italiani insistono colpevolmente a optare, in fondo, per la continuità democristiana: per adesso anche i comunisti. Gli osservatori borghesi indicano settorialmente, nel campo economico (e non dell'economia politica!!), le possibili soluzioni di quella che essi chiamano crisi; gli osservatori comunisti – insieme a tale indicazione, naturalmente più radicale e pur accettando come buone le intenzioni dei democristiani demandati alla continuità – lamentano il persistente anticomunismo. Ma che senso ha pretendere o sperare qualcosa da parte dei democristiani? O addirittura chiedere loro qualcosa? Non si può non solo governare, ma nemmeno amministrare senza dei principi. E il partito democristiano non ha mai avuto dei principi. Li ha identificati, e brutalmente, con quelli morali e religiosi della Chiesa in grazia della quale deteneva il potere. Una massa ignorante (e lo dico col più grande amore per questa massa) e una oligarchia di volgari demagoghi dalla fame insaziabile, non possono costituire un partito con un'anima. Ciò l'abbiamo sempre saputo, e l'abbiamo anche sempre detto: ma non l'abbiamo saputo e detto fino in fondo: per una ragione molto semplice: perché la Chiesa cattolica era una realtà, e la maggioranza degli italiani erano cattolici. [...] Torniamo dunque al nostro Processo (metaforico): ma stavolta in relazione e in funzione della politica del Pci (o di un Psi ipoteticamente rinnovato da una sua «rivoluzione culturale»), che è l'unica che importa. Se, invece di fingere di accontentarsi delle parole dei «galantuomini della continuità», i comunisti e i socialisti decidessero di spezzare tale continuità intentando un Processo penale a Andreotti e a Fanfani, a Gava e a Restivo ecc. ecc., che cosa metterebbero in chiaro una volta per sempre di fronte alla propria coscienza? Una serie di fatti banali che portano a un fatto essenziale, e cioè: Primo fatto banale: si presenterebbe, in tutta la sua estensione e profondità, ma anche in tutto il suo definitivo anacronismo, il quadro clerico-fascista in cui il malgoverno democristiano ha potuto essere attuato attraverso una serie di reati classici. Reati dunque non reati, in quanto consustanziali alla realtà del paese, e quindi (come quelli mussoliniani) perpetrati in fondo nel suo ambito e col suo consenso. Durante i primi venti anni del regime democristiano, si è governato un popolo storicamente incapace di dissentire: esattamente come durante il ventennio fascista, come durante l'Ottocento pontificio o borbonico, e addirittura come durante i secoli feudali.

martedì, ottobre 25, 2005

Berlusconi e Celentano


A Berlusconi, si sa, piace fare la parte del perseguitato, del martire. È altrettanto noto che Berlusconi è molto sfacciato, caratterizzazione indispensabile per chi ha cantato sulle navi da crociera o ha asserito di essere vittima di uno Stato parallelo.
Tanto il piacere di fare il perseguitato, tanto la sfacciataggine lui connaturata, lo hanno portato a lacrimare di lesa maestà, a dichiarazioni querule sulla trasmissione di Celentano. Egli ed i suoi lustra- ano si sono lamentati per la faziosa, comunista, antidemocratica, propagandistica trasmissione del molleggiato, che francamente in quanto a carica politica ed aggressività contro la Cdl credo abbia annoiato anche gli elettori di Mastella. Uno show banale, senza carattere, qualunquista. Uno show che, a mio modesto parere, aveva i contenuti tipici degli spettacoli corrosivi, caustici, di protesta beffeggiante. Eppure il Cavaliere e legionari sono insorti. Ed io, attonito, sentivo e vedevo le prime pagine dei quotidiani nelle rassegne stampa dei telegiornali con dichiarazioni urlate del premier e stupito pensavo che uno che aveva cantato 24000 baci o siamo la coppia più bella del mondo aveva fatto davvero un puttanaio e magari nemmeno lui da cantante di canzonette aveva sperato in tanto. Pensavo che, sì Celentano ormai si sente un guru ma ci crede solo lui, che i suoi silenzi non sono espedienti da oratore consumato ma pause di incerto pensiero, che il velleitario molleggiato lo prende per il culo mezza Italia. Eppure proprio Adriano, quello dei film- musical e delle commedie con la Muti, era un temibile incantatore di plebi, un Socrate del ventunesimo secolo, corruttore d’animi e pervertitore delle matite nel seggio elettorale. Poi mi sono ricordato che Berlusconi ha fatto due palle a tutto l’universo mondo con la sua lettura preferita cioè l’elogio della follia di Erasmo da Rotterdam perché qualche suo fido gli aveva letto solo quello e perché di libri ne ha ben pochi da citare ed è meglio citarne uno che nessuno, mi sono ricordato che Berlusconi ignorava che fosse la famiglia Cervi e le sue televisioni trasmettono virus dell’intelletto per l’intero giorno. Insomma ho pensato che Berlusconi è un gran bell’ignorante. Da grande indotto che è, il Cavaliere deve scambiare per trinariciuto comunista chiunque sia colto, oppure mediamente dotto, od un artista, magari pure un mezzo artista gli procura turbamento. Si sa, la gente rozza nutre sfiducia per la cultura, vuoi perché conta più la pratica che la grammatica vuoi perché le elucubrazioni intellettuali non aiutano a procacciare viveri. Allora visto che un particolare clichè popolare vuole i sinistrorsi colti, ecco, è fatta l’equazione è risolta la fobia del Cavaliere. Cultura = sinistra, il suo cervello ha così ragionato, ecco svelato l’arcano! … Ho sempre pensato che se fossi stato di destra mi avrebbe molto imbarazzato la penuria culturale dell’ideologia. Ho sempre notato con malcelato orgoglio che la cultura è soprattutto a sinistra. Mi hanno addirittura fatto tenerezza alcune interviste di personaggi di destra che dichiaravano di avere come cantanti del cuore Guccini, De André o De Gregori. Ho sempre notato che se ad un amico proponi di vedere un mattone di film, egli si immagina un film di qualche avanguardia socialrivoluzionarmarxistrotzkysta. È lampante che lo stereotipo dell’artista non è di una persona un po’ razzista, un po’ nostalgica del Ventennio, conservatrice, anzi l’opposto. Sembra tutto sommato incontrovertibile che dove c’è arte, dove c’è istruzione, dove c’è scienza, dove c’è sensibilità per il grandi temi del cosmo è, quantomeno nell’immaginario collettivo, a sinistra. Allora mi chiedo: perché ci tormenta così il Berlusca con questi comici, giornalisti, registi, opinionisti lui ostili? Proprio Silvio che con rete4 che è la gioia delle casalinghe ha fatto la sua fortuna? Proprio colui che ha la maggior parte dell’elettorato composto da vecchi rincoglioniti, massaie ignoranti che tra una telenovela e l’altra sorbiscono il Tg4? Mah, Silvio, pretendi che i docenti universitari siano colpiti dall’invio a casa della tua biografia con foto zuccherose con te e tua moglie? Ci vuole la faccia come il culo! Prima diventi premier grazie alla feccia degli italiani poi ti lamenti che la casta intellettuale ti odia? Devi accettarlo, chi sta in tv è mediamente dotto, spesso molto dotto e questa tipologia di persona non ti apprezza. Punto. Il fatto è che se in tv vanno artisti, essi con ottima probabilità non saranno elettori di Forza Italia. Se in tv c’è ancora qualche spazio di critica sociale per sua natura tenderà alla sinistra di Hegel. È dura da accettarsi, ma spero che un tizio che chiama il suo partito Forza Italia non pretenda di accaparrarsi i voti del fine politologo. Al Cavaliere anche quello dei 24000 baci e di siamo la coppia più bella del mondo appare un fine sobillatore prodiano. No, invece, è solo un cantante di canzonette con una modesta sensibilità artistica e come tutti coloro che hanno questi requisiti non ti vota, Silvio. Il comico ti sarà sempre ostile, l’artista pure, il romanziere pure, l’intellettuale pure, il premio Nobel pure, il giornalista forse, la casalinga del brenta mai. Hai spopolato con un plebiscito plebiscitario in Sicilia e nel Sud in genere, perché? Non si preoccupi il Cavaliere i suoi elettori non sono suggestionabili, non guardano Celentano e non leggono Biagi. Notiamo invece quanto di subdolamente berlusconiano c’è nella cultura odierna, quanto un Costantino sia affine ai modelli del Cav. oppure quanto i ragazzi del Grande Fratello siano, più o meno consapevolmente, filogovernativi. I veri programmi politicizzati sono quelli sapientemente innocenti della De Filippi o di Costanzo, i programmi pienamente vacui delle tv in genere. La fortuna che Berlusconi ha avuto è stata la gente ignorante. Questo é il suo cruccio, la sua malattia.

lunedì, ottobre 24, 2005

Derby di ferro e fuoco.


L'ennesimo derby, l'ennesima follia. Un ragazzo accoltellato, otto tifosi feriti, l'arbitro colpito da una moneta, giocatori non all'altezza della situazione, fanatici e irresponsabili.
Eppure ventisei anni non sono tanti, non sono tanti per una tragedia come quella... (clicca tra i commenti per continuare a leggere).

venerdì, ottobre 21, 2005

La risposta dell'Atac in merito al 557

Questa che segue è la risposta dell'Atac alla mia mail di protesta, mail che peraltro conteneva anche l'articolo poco sotto sul 557.
Gentile Cliente, le scrivo per rispondere alla sua e-mail con la quale propone alcune modifiche al percorso attuale della linea 557. Al riguardo, la informo che abbiamo interessato la nostra Direzione Pianificazione, cui è affidata la progettazione e la manutenzione della rete di superficie, per una valutazione in merito. Tenga comunque presente che generalmente vengono accolte le richieste di cui sia riscontrata la fattibilità dal un punto di vista tecnico, nonché, d'accordo con il Municipio competente, la rispondenza alle esigenze della collettività, previo comunque il parere favorevole del Dipartimento VII "Politiche della Mobilità" del Comune di Roma. In ogni caso, relativamente alle ragioni rispetto alle quali propone di non far più transitare la linea 557 in Viale Spartaco, ritengo sia giusto precisare che l'intralcio causato dalla sosta irregolare di auto private, non può né deve essere risolto a discapito del servizio di trasporto pubblico, che - va sottolineato – risponde ad un interesse collettivo. Più coerentemente con la propria missione aziendale, invece, questa Agenzia provvede periodicamente a richiedere la collaborazione dei Municipi per assicurare un più frequente intervento dei Vigili Urbani in quelle aree che sono caratterizzate da una viabilità critica, al fine di migliorare la regolazione della mobilità, sia pubblica che privata, della città.
Ringraziandola comunque per il contributo che con spirito di collaborazione ha voluto fornirci per migliorare il servizio di trasporto pubblico cittadino, la saluto con molta cordialità.
La saluto cordialmente. Angelica del Servizio Clienti Atac SpA la ringrazia per aver scelto il trasporto pubblico

mercoledì, ottobre 12, 2005

Fumo=cancro?



Ho sempre saputo che la campagna antifumo è fatta sul gioco dell'esagerazione, cioè se aumento i danni che fanno le sigarette anche gli irriducibili del fumo saranno colpiti dalla campagna.
Avevo letto che quando un'equipe di medici americani operò Oriana Fallaci per cancro ai polmoni, al risveglio della celebre paziente, le dissero che poteva anche fumare ancora perché il cancro è cosa solo genetica. Lei ne trovò conferma nella storia familiare, tantissimi suoi parenti sono morti di cancro. Sapevo pure che quattro-sigarette al giorno non fanno male neanche un po'. Con ciò, però, non ho mai messo in discussione il binomio fumo-cancro. Poi mi sono imbattuto in un articolo, del quale non posso giudicare l'attendibilità ma posso dire che si trova sul sito dell' "Associazione per la ricerca e prevenzione del cancro". Leggetelo qui, cliccate sui commenti e apparirà l'articolo.

L'articolo in questione è così distruttivo verso i luoghi comuni che sembra uno sfogo. Non so se abbia valore scientifico. So solamente che il dottore citato nell'articolo (dott. Hamer) appare in più siti di contro-informazione e non. Insomma, leggiamolo pure ma... con cautela.



Quel che appare qui di sopra lo ho scritto non sapendo bene che cosa fosse la "Associazione per la ricerca e Prevenzione del cancro"... poi lo ho scoperto... la mia scoperta ha sede nei commenti... Non do giudizi però...ATTENZIONE ALLE COSIDDETTE CURE ALTERNATIVE!!!!!!!!!