martedì, novembre 08, 2005

Un omicidio tutto romano. L'omicidio del coatto della magliana.


Lo avrei dovuto fare un mese fa. Lo avevo già progettato, ideato. Un bel post su un fenomeno tutto romano, che solo i romani conoscono e che il grande pubblico italiano ignora o conosce nelle sue forme simpatiche. Il fenomeno dei coatti, romanamente parlando, dei bulli di quartiere. Avrei voluto fare un post ironico ma anche amaro su questo malcostume. Avevo in mente di paragonarlo ad una piccola mafia o camorra o ‘ndrangheta, di scrivere che la “coattaggine” non è criminalità organizzata ma comunque codificata, fatta di riti, gestualità, modi di dire, di fare, di agire. Volevo scrivere che la coattaggine (da adesso in poi non più virgolettata) è il drammatico esito dei vuoti di pensiero, è ciò che prende il posto delle ideologie, è quel malcostume che può anche rovinare una città. Avevo pensato di darle anche un nome latino, per trattarla come una caratteristica etologica, zoologica, fare come nei documentari dove si narra freddamente e alteramente il comportamento di una specie. Cose tipo:”il maschio dominante del coactus urbanus espleta la sua leadership...” e così via. Poi non me la sono più sentita di essere ironico, perché incolpo di un fatto di cronaca la coattaggine stessa. Il fatto è quello di quel manovale ucciso a revolverate per un micro che più micro non si può urto con la macchina. Aveva sbattuto contro il Golf di un coatto (diciamolo da subito) uno spintone, la colluttazione, il ritorno del coatto con gli amici e la morte, l’assassinio. Futilità, forse per voi, per me non per il coatto. Le cronache dei giornali parlano dell’autore del delitto e dei suoi complici come “bulli di quartiere” o “bulli di bande giovanili”. Ma noi, noi romani, noi romani delle periferie lo sappiamo bene che non erano bulli, perché a momenti neanche sappiamo che significa bullo, noi sappiamo bene che era un coatto. È questo il nostro problema. Tutti noi sappiamo quanto sia importante per il ragazzino far sapere o credere al mondo che è un malavitoso, sappiamo che l’adolescente romano finge sempre di conoscere malavitosi vari, finge si spacciare, di essere un figlio di una cagna. L’adolescente romano in via di coattizzazione, se litiga promette di tornare con gli “amici”, che amici non sono, ma sono, celati dal termine, piccoli cattivelli che picchiano come grandi pezzi di merda. I ragazzi a Roma crescono col mito di picchiare, essere più malavitoso l’uno dell’altro. E allora a Roma è più facile fare una rissa in auto, fare a cazzottoni per una ragazza, è più facile sprangarsi per uno sguardo è più facile uccidere, è più facile morire. È più facile che da tante altre parti. Forse pure di Palermo o Napoli. Perché lì ti uccide il criminale vero non il ragazzo che ha tutto ma proprio tutto, il ragazzo che se torna a casa con un graffio i genitori lo cazziano. “Aoh, quello c’ha l’amici de tor bella” “ quello lascialo sta che è matto scocciato” “quello spigne e c ‘ha er cugino che pippa”. E quanti sono quei “quello”! E tutti li abbiamo conosciuti. Una camorrina di serie b, un malcostume tutto romano, la fierezza dell’inciviltà. Difficile da definire per l’opinione pubblica nazionale ma noi non possiamo mentire a noi stessi, noi sappiamo bene di che si tratta. Sono i coatti. Sono io, sei tu che leggi quando siamo un po’ più stupidi del solito. Siamo noi, romani. Con questa subcultura bifida che regna è facile uccidere, perché ogni occasione è buona per far vedere che “io so più scocciato de te” che “io te parto facile”. Li abbiamo incontrati, o lo siamo stati, alle medie, poi ce li siamo portati appresso alle superiori, ora sono a lavoro, all’università con noi. Accendi la tv ed il comico romano te lo rende pure simpatico, il coatto. Ti fa ridere perché è grottesco è neanderthaliano, ma poi ti fa incazzare quando sei a casa e vuoi dormire e ti sta sotto casa con la musica a mille decibel , ti fa irritare in macchina quando passa impunemente allo stop, ti fa ridere allo stadio (a me no, a molti pare di sì) quando fa uh uh uh al nero che gioca. In genere è di destra, ma non gli importa più di tanto di politica è solo una moda per il coatto essere di destra, è ben vestito, nel senso che i suoi indumenti costano, è affascinato da certe tipologie di auto, la Golf per dirne una, guarda caso. E chi più ne ha più ne metta. Noi romani lo sappiamo bene chi è. Sappiamo pure che solo noi possiamo saperlo. In Sicilia nel dopo guerra, i politici, gli intellettuali prezzolati, i mafiosi stessi si chiedevano fintamente ingenui “che cos’è la mafia?” e si rispondevano “la mafia non esiste, la fantasia popolare porta a collegare crimini slacciati. Dov’è questa mafia?”. È intorno a noi, è un malcostume, è l’abitudine a tollerare l’intollerabile, è l’omertà. Lì si chiama mafia, laggiù camorra, da un’altra parte baby gang, qui è il coatto. Parafrasando un passo del film sulla mafia “i cento passi”, diciamolo, a noi essere coatti ci piace, ci dà sicurezza, ci identifica.

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