mercoledì, marzo 01, 2006

MISTERI D'ITALIA. IL SEQUESTRO MORO E LA SEDUTA SPIRITICA DI ROMANO PRODI




La faccia paciosa, le guance flosce come quelle d’un cane annoiato e tenerone, il tono sommesso da prete spretato non fanno pensare ad un uomo losco. Eppure Romano Prodi è stato al centro di una delle storie più controverse della storia della Repubblica, la seduta spiritica, fatta da lui e alcuni amici durante la prigionia di Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo 1978 e trovato morto il 9 maggio 1974, ucciso dalle Brigate Rosse. La vicenda in breve è questa: alcuni professori universitari di Bologna, politicamente prossimi alla Democrazia Cristiana, in una giornata di pioggia, organizzano una seduta spiritica dal tono ludico, come loro diranno, nella quale lo “spirito” invocato dà ai partecipanti all’idiozia metafisica un nome loro inintelligibile. GRADOLI. Nessuno di essi sa che cos’è, sa solo che il nome in questione è stato dato in risposta a domande relative a dove fosse prigioniero Moro. Preoccupati della rivelazione avvisano chi di dovere e partono le indagini. Per una strana coincidenza le BR tenevano Moro in un appartamento a Roma sito in Via Gradoli. Questa è la premessa. Come capirete la situazione è grave ma non seria, come diceva Ennio Flaiano. Ho raccolto per ricostruire questa vicenda alcuni documenti in rete.


La seduta spiritica su Aldo Moro



Una seduta spiritica svoltasi il 2 aprile nella casa emiliana del prof Alberto Clò, economista, sarebbe all’origine delle infruttuose ricerche compiute quattro giorni dopo dalle forze dell’ordine in località Gradoli in provincia di Viterbo.
Lì avrebbe dovuto trovarsi la prigione dell’onorevole Moro secondo l’indicazione “mediatica”riferita da Romano Prodi il 4 Aprile ad un collaboratore di Benigno Zaccagnini, il dott Umberto Cavina e da quest’ultimo girata telefonicamente Luigi Zanda Loi, addetto stampa in servizio presso il ministero dell’Interno, il quale a sua volta fissò le informazioni in un appunto manoscritto e lo consegnò al capo della polizia, dott Parlato.
L’omonimia tra il piccolo comune laziale e la via del comune di Roma nella quale il 18 Aprile fu individuato un appartamento abitato dai terroristi, ha dato luogo a molte recriminazioni. Innanzi tutto è stato rimproverato agli inquirenti il fatto che, stante l’esito negativo delle perlustrazioni eseguite nel viterbese, le operazioni non siano state estese agli edifici della suddetta via della capitale. Secondo Eleonora Moro e suo figlio Giovanni, addirittura, le autorità avrebbero sprezzantemente e perciò scientemente respinto un tempestivo consiglio in tal senso. Inoltre la peculiare natura della fonte ufficialmente indicata- una seduta spiritica improvvisata nel corso di una riunione domenicale tra amici- ha indotto quasi tutti coloro che credono agli spiriti a pensare che in realtà l’informazione provenisse da altri canali. Sicuramente il messaggio che”uno spirito di serie B”avrebbe inviato dall’oltretomba a coloro che lo interrogavano non era preciso (Aldo Moro era rinchiuso in Via Gradoli) : ma pertinente si, e la coincidenza è strana . A partire di qui vari osservatori hanno cominciato a sospettare che attraverso i veri suggeritori della parola”Gradoli” fosse possibile ricavare indizi precisi, tali da indirizzare piuttosto verso Roma che verso la provincia, inoltre Via Gradoli è una traversa di Via Cassia, la consolare che porta a Viterbo, quindi al comune di Gradoli. In questa logica si è ipotizzato che i tentativi nel comune di Gradoli abbiano rappresentato un depistaggio, magari finalizzato ad attirare l’attenzione dei brigatisti, ed offrire loro l’opportunità di abbandonare il covo ormai segnalato, che prima o poi sarebbe stato inevitabilmente perquisito.
La commissione Moro ha ascoltato i partecipanti adulti alla seduta spiritica, e ha acquisito una loro versione ufficiale dei fatti, esposta in forma di lettera collettivamente sottoscritta. In quest’ultimo documento si legge che al “ gioco del piattino” parteciparono” a puro titolo di curiosità e di passatempo” tutti coloro che erano presenti quel 2 aprile 1978 nella casa del Prof Clò, e che il tutto” si svolse in una atmosfera assolutamente ludica”Quanto alle indicazioni che emersero dal gioco accanto ad alcune del tutto prive di significato, ve ne furono altre di senso compiuto che si riferivano a località geografiche come Viterbo e Bolsena. Verso la fine del gioco emerse l’indicazione Gradoli che risultava tuttavia a tutti ignota sia come località geografica che come altro significato”.
I giocatori individuarono “la effettiva esistenza di tale località proprio nei pressi di Verbo” grazie ad un “successivo riscontro su una cartina geografica”. La coincidenza” non potè colpire i presenti”ricordarono i firmatari della lettera, e proseguirono: all’indomani fu quindi normale che della cosa si sia venuto a parlare con amici o conoscenti. Essendone stato informato, per il tramite del Prof Prodi, anche il dott Umberto Cavina, allora segretario dell’onorevole Zaccagnini, egli ritenne utile rivolgere l’indicazione Gradoli agli organi impegnati nelle indagini sul sequestro Moro.
Si noti pure che, quindi, nessuno dei partecipanti aveva responsabilità individuali maggiori di quelle degli altri, né per quanto attiene all’iniziativa, né per la conduzione del gioco del piattino, né per l’interpretazione delle risultanze, né soprattutto per la segnalazione agli inquirenti, la quale stando alla missiva sembra essere stata decisa da Cavina piuttosto che da Prodi.
Anche le successive dichiarazioni rese da ciascuno degli autori della lettera- di volta in volta alla commissione Moro, alla magistratura ed infine alla commissione stragi- confermarono complessivamente questa ricostruzione dei fatti, fornendo pure ulteriori e preziosi dettagli. In particolare nelle audizioni i protagonisti ebbero occasione di specificare che non c’era nessun medium professionista, né alcuno particolarmente esperto in materia di sedute spiritiche, e che “un po’ tutti”contribuirono alla lettura delle risposte date dal “piattino”
Importanti poi le precisazioni sui quesiti posti il 2 aprile:
le domande erano molto generiche , per farsi poi più specifiche su località geografiche
le domande erano poste in maniera diretta, -dov’è Moro?,in quale città si trova?è forse morto?è nell’acqua o nella terra?-
Quanto alle risposte venne riaffermato che il piattino rispose: Bolsena, Viterbo e Gradoli e che il resto non aveva senso , erano numeri, erano cose insensate.
Una versione coerente con quella relativa alla natura dei quesiti, dunque.
I partecipanti proseguono:
ad un certo punto il posacenere(sic) gira toccando delle parole(sic) disegnate sopra un foglio di carta . Dopo una serie di parole senza senso alla fine ci è parso di riuscire a mettere insieme lettere che avessero un senso compiuto, questo senso era appunto Gradoli.

Via Gradoli era un luogo noto al leader dell'Unione». La replica del Professore: «Insinuazioni, lo querelo»

Le presenta come «verità pazzesche» di quello che è uno dei misteri più fitti della storia d'Italia: il caso Moro. A evocare il fantasma degli anni di piombo è Paolo Guzzanti, senatore di FI e presidente della commissione Mitrokhin che svela retroscena inediti del sequestro dello statista democristiano rapito il 16 marzo 1978 e ucciso dalle Br dopo 55 giorni di prigionia. Guzzanti accusa in particolare Romano Prodi di aver taciuto, pur sapendolo, sul covo nel quale il presidente della Dc fu tenuto segregato. E subito scoppia la polemica.Tutto nasce dall'intervista che Guzzanti rilascia a «Nessuno Tv», piattaforma Sky, dove il senatore azzurro anticipa alcuni degli elementi della prossima relazione finale della commissione che guida. Racconta Guzzanti: «Aldo Moro fu catturato con una vera e propria operazione di commando, l'unica messa in atto dopo la seconda guerra mondiale. Tutta la scorta fu assassinata ed era presente anche un tiratore scelto straniero che non fu mai preso e del quale non si è mai parlato. Moro è stato poi tenuto nascosto in un luogo, peraltro noto a Romano Prodi». Il riferimento è all'appartamento di via Gradoli, il covo utilizzato dalle Brigate rosse morettiane come quartier generale per la preparazione della strage di via Fani e il rapimento del presidente della Dc.E' storia che il 2 aprile del '78 Prodi partecipò a una seduta spiritica in una casa di campagna di alcuni amici. Raccontò, quando fu chiamato a testimoniare davanti alla Commissione Moro, che nel corso della seduta il «piattino» utilizzato avrebbe composto la parola Gradoli. La rivelazione fu comunicata agli inquirenti che andarono a cercare Moro nel paese di Gradoli, nel Viterbese. Ma non trovarano nulla.Alle telecamere di «Contro Adinolfi», trasmissione condotta dal giornalista di Europa Mario Adinolfi, Guzzanti ricorda l'audizione alla Mitrokhin dell'attuale leader dell'Unione: «Quando l'ho interrogato per chiedergli i motivi, in commissione, con me ha farfugliato sputacchiando. Ma poiché nessuno crede agli spiriti, alle sedute spiritiche o ai piattini che girano, sta di fatto che il professor Romano Prodi sapeva che Moro era prigioniero a via Gradoli. Disse Gradoli senza dire via: qualcuno volle capire Gradoli paese. Moro fu messo in un luogo dove gli fu organizzato una sorta di tapis roulant con documenti che entravano ed uscivano. Nel corso della prigionia scomparvero dalla cassaforte del ministro della Difesa, che mi pare fosse Ruffini, tutti i documenti militari top secret della Difesa Nord dell'Italia, che poi ricomparvero dopo la morte di Moro. Tornarono nella cassaforte del ministro della Difesa con le loro gambe. Il capo dei servizi segreti di allora, l'ammiraglio Martini, ebbe su questo punto un alterco violentissimo con il ministro della Difesa». Conclusione di Guzzanti: «Moro fu ucciso perché non poteva essere lasciato vivo e fu il veicolo di tramite di segreti militari. Il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro fu gestito dai servizi segreti dell'Est. Ci sono le carte. Tra due settimane andremo a Budapest perché abbiamo ricevuto documenti scritti dalla Repubblica d'Ungheria in cui è provato che moltissimi brigatisti rossi, tra cui Antonio Savasta, erano semplicemente agenti operativi della Stasi e del Kgb. Ci sono le carte, non le chiacchiere. Se uno va a vedere le direttive del Kgb, su ordine del Pcus, c'era l'indicazione di compiere nei paesi occidentali atti di terrorismo cieco, affinchè venissero scardinati i servizi di sicurezza interni di ogni singola nazione occidentale. C'era il terrorista Carlos, che era titolare di un'agenzia internazionale terroristica, e nelle carte dei paesi dell'est abbiamo trovato la certezza che è stato Carlos a far saltare il treno 904. Anche sulla strage di Bologna bisogna indagare ancora».
Parole che scatenano l'immediata reazione di Prodi che tramite il suo ufficio stampa parla di «gravissime insinuazioni» e annuncia querele contro il senatore azzurro. «Sulla questione legata al nome Gradoli, Prodi ha infatti già esaurientemente risposto in tutte le sedi giudiziarie e parlamentari in cui è stato convocato», è quanto afferma la nota dell'Ufficio stampa del leader dell'Unione. «Tornare sulla questione- prosegue il comunicato - è solo voler strumentalizzare a fini politici una vicenda dolorosa per il Paese, seminando ancora una volta dubbi, insinuazioni e bugie che già in passato sono stati verificati essere privi di qualsiasi fondamento».
01 dicembre 2005


AUDIZIONE DI ROMANO PRODI PRESSO LA COMMISSIONE MORO – 10 GIUGNO 1981
PRESIDENTE: Debbo richiamare la sua attenzione sul fatto che la Commissione assume le sue dichiarazioni in sede di testimonianza formale e sulle conseguenti responsabilità in cui ella può incorrere, anche in relazione al dovere della Commissione di comunicare all’Autorità giudiziaria eventuali dichiarazioni reticenti o false (…)
ROMANO PRODI: Ripeto quanto ho già scritto nella mia lettera. In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perchè sono tutte qui, si faceva il cosiddetto «gioco del piattino» (…) Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa (…)
CORALLO: Per farla sentire meno ridicolo, dato che questa sensazione è un po’ comune a tutti … Mi scusi, professore, vorrei dirle che la scrupolosità della Commissione parte da un’ipotesi che dobbiamo accertare essere inesistente, e cioè - non credo molto agli spiriti - se ci possa essere stato qualcuno capace di ispirarli (…) Chi partecipò attivamente al gioco? Voi eravate tanti, però un ditino sul piattino chi lo metteva?
ROMANO PRODI: A turno tutti: c’erano 5 bambini; era una cosa buffa. Non crediamo alla atmosfera degli spiriti e che ci fosse un medium. Io le dico: tutti; anch’io ho messo il dito nel piattino (…)
PRESIDENTE: Non c’era un direttore dei giochi?
ROMANO PRODI: No. Bisogna vedere come se ne sono impadroniti i giornali; come di una seduta medianica, che non so nemmeno cosa sia, ma era un gioco collettivo invece, come tutti facemmo in quel momento; l’ho imparato dopo.
LAPENTA: Chi lanciò l’idea di questo gioco?
ROMANO PRODI: All’inizio il padrone di casa; non so… All’inizio ero in disparte con i bambini e dopo il gioco mi ha incuriosito.
FLAMIGNI: Come venne fuori la specificazione «casa con cantina»?
ROMANO PRODI: Ne sono venute fuori diecimila di queste cose: è venuto fuori «cantina», «acqua». In questo momento non lo ricordo nemmeno; il gioco è andato avanti per ore (…) Ripeto che non ho preso sul serio queste cose e, evidentemente, se non ci fosse stato quel nome, non avrei nè raccontato nè detto la cosa perchè cerco di essere un uomo ragionevole, onestamente.
FLAMIGNI: Nella testimonianza che lei ha reso al giudice dice: «Fui io a comunicare al dottor Umberto Cavina, nonchè il giorno prima alla Digos di Bologna attraverso un collega universitario, la notizia concernente la località: Gradoli, in provincia di Viterbo. A tale indicazione, con l’aggiunta che poteva trattarsi di una casa…»
ROMANO PRODI: Guardi, non me lo ricordavo neanche per il poco peso che gli ho dato. Ne sono saltate fuori tante di queste cose! Tutti hanno detto che non conoscevano questo paese; questo era importante.
PRESIDENTE: La notizia era talmente importante che se l’avessero ben utilizzata, le cose probabilmente sarebbero cambiate.
ROMANO PRODI: Non ho mai creduto a queste cose … sarà stato un caso.
COLOMBO: Tutte le persone parlavano di un paese…
ROMANO PRODI: Bolsena, Viterbo, Gradoli; si faceva la targa VT; i monti Volsini… ripeto, dopo si dava importanza perchè avevamo visto dove erano; con la carta geografica in mano, fa tutti i «ballottini» che vuole…
CORALLO: «Ballottini» sta per piccoli imbrogli.
ROMANO PRODI: Con la carta geografica davanti davanti, lei capisce non è più…Scusi l’espressione.
FLAMIGNI: Dopo la seduta spiritica…
ROMANO PRODI: No, era veramente un gioco.
FLAMIGNI: Non si può chiamare seduta spiritica.
ROMANO PRODI: Non me ne intendo; mi dicono che ci vuole un medium.
FLAMIGNI: Comunque il risultato, la conclusione è che almeno quando viene fuori la parola «Gradoli» le si attribuisce importanza perchè lo si comunica alla segreteria nazionale della Dc, al capo della Polizia; poi, si muove tutto l’apparato.
ROMANO PRODI: Quando l’ho comunicato a Cavina m’ha detto che ce ne sono state quarantamila di queste cose. Fino al momento del nome, non era stato molto importante; per scrupolo (…) lo comunichiamo (…)
FLAMIGNI: Lei venne appositamente a Roma per riferire a Cavina?
ROMANO PRODI: No, era un convegno…non ricordo su che cosa, e dovevo venire a Roma.
FLAMIGNI: E quanti giorni dopo il «giochetto»?
ROMANO PRODI: Due-tre, non ricordo (…)
FLAMIGNI: Chi interpretava le risposte del piattino?
ROMANO PRODI: Un po’ tutti. Era semplice, vi erano le lettere, si mettevano in fila e si scrivevano.
FLAMIGNI: Bisognerebbe capire qual era esattamente lo svolgimento del gioco (…) quali erano le domande poste.
ROMANO PRODI: Le domande erano: dov’è? perchè? Moro è vivo o morto? Del resto, persone che hanno fatto altre volte il «piattino» sanno di che cosa si tratta e possono darle spiegazioni più esaurienti.
BOSCO: Chi erano le persone che l’avevano fatto altre volte?
ROMANO PRODI: II professor Clò, ad esempio, ed altri che risponderanno perchè sono tutti qui (…)
FLAMIGNI: (…) sarebbe importante quantificare quali furono le domande.
ROMANO PRODI: Questo non ha niente a che fare con la tecnica del gioco ed è evidente che me lo ricordi. Le domande erano: dov’è Moro? Come si chiama il paese, il posto in cui è? In quale provincia? E nell’acqua o nella terra? E’ vivo o morto?
FLAMIGNI: Quali erano le risposte ad ognuna di queste domande?
ROMANO PRODI: Qui intervengono problemi tecnici sui quali potranno essere date spiegazioni più esaurienti delle mie; comunque, vi erano delle lettere su un foglio e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava sì o no.
FLAMIGNI: Che cosa succede: uno mette il dito su questo piattino?
ROMANO PRODI: No, tutti.
FLAMIGNI: Ad un certo momento parte un impulso per cui il piattino si sposta e va su una lettera?
ROMANO PRODI: Sì. Posso comunque dire che, dopo questa esperienza, ho trovato tanta gente che mi ha confessato di aver fatto la medesima cosa.
CORALLO: (…) Di solito, quando il piattino comincia a muoversi, la domanda che si fa è: chi è l’interlocutore, lo spirito con il quale ci si intrattiene.
ROMANO PRODI: Alla fine è accaduto anche questo, ma all’inizio no. C’è stato chi ha detto: interroghiamo Don Sturzo o La Pira, ma le prime risposte, in un primo momento, erano soltanto sì o no.
CORALLO: L’interlocutore era dunque ignoto.
ROMANO PRODI: All’inizio sì, poi vi furono anche interlocutori vari tra i quali, per quel che mi ricordo, Don Sturzo (…)
CORALLO: Si trattava dunque di un gioco in famiglia, tra amici. Un’ultima domanda professore: tra i partecipanti, vi era anche qualche esperto di criminologia?
ROMANO PRODI: No, assolutamente no (…) Tra i partecipanti alla seduta vi ero io, che sono un economista, il professor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clo, che ha l’incarico di economia applicata all’Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo (non so di quale branca, anche se mi pare genetica) e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all’Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l’economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente.
SCIASCIA: Nella lettera che è stata mandata alla Commissione, firmata da tutti voi, si dice che la proposta di fare il gioco è partita dal professor Clo.
ROMANO PRODI: Perchè era il padrone di casa.
SCIASCIA: Nella lettera si aggiunge che tutti vi parteciparono a puro titolo di curiosità e di passatempo, che la seduta si svolse in un’atmosfera assolutamente ludica.
ROMANO PRODI: Vi erano cinque bambini al di sotto dei dieci anni!
SCIASCIA: Si dice anche che nessuno aveva predisposizione alcuna di tipo parapsicologico o, comunque, pratica di queste cose, ma una certa pratica di queste cose qualcuno doveva pur averla!
ROMANO PRODI: Certo, a livello di gioco, la tecnica era conosciuta; però pratica di queste cose direi che non vi fosse. Ripeto, a posteriori, mi sono reso conto che vi è gente che tutte le sere lo fa!
SCIASCIA: Tra i dodici, qualcuno aveva pratica di queste cose?
ROMANO PRODI: Intendiamoci sulla parola pratica, onorevole Sciascia. Se qualcuno lo aveva fatto altre volte voi lo potrete sapere chiedendo agli altri, ma nella nostra lettera abbiamo detto che non vi era nessuno che, con intensità, si dedicava a questo. naturalmente vi era qualcuno che, altre volte, l’aveva fatto.
SCIASCIA: Francamente, io non saprei farlo.
ROMANO PRODI: Anche io non sapevo farlo! Non ne avevo la minima idea e, infatti, mi sono incuriosito moltissimo.
SCIASCIA: La contraddizione che emerge è questa: se c’è una seduta di gente che crede negli spiriti o, comunque, nella possibilità che si verifichino fenomeni simili, se c’è una seduta di questo genere - ripeto - e ne viene fuori un certo risultato del quale ci si precipita ad informare la Polizia ed il Ministero dell’Interno lo posso capire benissimo, ma che si svolga tutto questo in un’atmosfera assolutamente ludica, presenti i bambini, per gioco, e che poi si informi di ciò la Polizia attraverso la mediazione di uno che non era stato presente al gioco, e se ne informi quindi il Ministero dell’Interno, a me sembra eccessivo e contraddittorio.
ROMANO PRODI: Ma è venuto fuori, onorevole, un nome che nessuno conosceva! Anche se ci siamo trovati in questa situazione ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di voi sa se ci sia? Se soltanto qualcuno avesse detto di conoscere Gradoli, io mi sarei guardato bene dal dirlo. E’ apparso un nome che nessuno conosceva, allora per ragionevolezza ho pensato di dirlo.
SCIASCIA: Direi per irragionevolezza.
ROMANO PRODI: La chiami come vuole. La motivazione reale è che con una parola sconosciuta, che poi trova riscontro nella carta geografica, a questo punto è apparso giusto per scrupolo…
SCIASCIA: Poteva far parte della insensatezza del gioco anche il nome Gradoli.
ROMANO PRODI: Però era scritto nella carta del Touring.
SCIASCIA: La signora Anselmi dice che seguirono dei numeri che poi risultarono corrispondere sia alla distanza di Gradoli paese da Viterbo sia al numero civico e all’interno di via Gradoli.
ROMANO PRODI: Questo proprio non mi sembra … c’era sul giornale…
SCIASCIA: La signora dice di aver sentito questo dal dottor Cavina.
ROMANO PRODI: Onestamente io non.. Non avrei difficoltà a dirlo.
CORALLO: Nell’appunto di Cavina c’è il numero della strada.
ROMANO PRODI: Può darsi che negli appunti ci sia perchè dopo abbiamo visto sulla carta, strada statale, i monti vicini. L’importante è che si trattava del nome di un paese che a detta di tutti nessuno dei presenti conosceva. Capisco che era tutta un’atmosfera irragionevole, però…
SCIASCIA: Non mi sembra determinante il fatto che non si conoscesse il nome. Viterbo si conosceva e poteva benissimo trattarsi anche di Viterbo.
ROMANO PRODI: Se fosse stato Viterbo, non ci avrei badato perchè si può sempre comporre una parola che si conosce.
SCIASCIA: Chi ha deciso di comunicare all’esterno il risultato della seduta?
ROMANO PRODI: L’ho fatto io perchè ero l’unica persona che conoscesse qualcuno a Roma. Ho parlato con tutti, con Andreatta etc. Non è che ho telefonato d’urgenza; ho detto vado a Roma e lo comunico. Questo è stato deciso una volta che si è saputo che esisteva questo paese che nessuno conosceva.
SCIASCIA: Ora le farò una domanda che farò a tutti. Lei ha mai conosciuto nessuno accusato o indiziato di terrorismo?
ROMANO PRODI: Mai.
COVATTA: II senso della domanda è se qualcuno aveva interesse ad ispirare gli spiriti.
ROMANO PRODI: E’ sempre la domanda che mi sono sempre posto anch’io.
BOSCO: All’interrogativo che si è posto, come ha risposto? Cioè se qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti.
ROMANO PRODI: Lo escluderei assolutamente.
BOSCO: Quindi si è trattato di spiriti.
ROMANO PRODI: O del caso … Non so … Mi sembra che il senso della domanda dell’onorevole Covatta sia quello di chiedere se c’era qualcuno che voleva fare «il furbetto», spingendo in un certo modo o rallentando. Questo no. D’altra parte…
FLAMIGNI: Se avessimo ascoltato un riferimento di quella seduta in maniera molto impegnata e che i protagonisti credevano veramente allo spiritismo e alla possibilità di avere qualche forza in aiuto, allora mi darei una spiegazione, ma proprio perchè il professor Prodi parla di tutto ciò come un gioco, la mia curiosità si accentua. Ritengo che qualcuno potesse anche sapere. Parto da questa considerazione per dire che voglio conoscere le domande effettive e le risposte che sono venute fuori.
ROMANO PRODI: Ho detto le domande effettive e le risposte. Uno dei problemi che si pone per una cosa del genere è proprio quello contenuto nella sua domanda. Crede che quando è uscito il nome di via Gradoli io non mi sia posto il problema di chiedermi se c’era qualcuno che faceva il furbo? Altrimenti non sarei qui in questa situazione in cui mi sento estremamente imbarazzato ed estremamente ridicolo (…)

Comunque stiano le cose è imbarazzante che il centrosinistra abbia candidato come premier un uomo che, oltre a essere “l’anticarisma” per eccellenza, abbia di queste ombre sulla sua persona. Peccato. Proprio il centrosinistra che vantava una superiorità morale sul centrodestra, che non aveva macchie, ora invece è passibile di vergognose accuse, imbarazzanti allusioni. Con Prodi c’è solo che da perdere. Anche per colpa di questo episodio. Non resta che sperare che Berlusconi ne combini altre delle sue.

1 commento:

Anonimo ha detto...

interessante!! però,per favore, non date retta a Guzzanti (l'onorvole giornalista), che è assolutamente ottuso,bilioso, polemico e completamente inattendibile...