lunedì, aprile 03, 2006

La strage di Ustica.



Sono passati quasi 26 anni e ancora non sappiamo cosa abbia provocato, il 27 giugno 1980, l'abbattimento del DC-9 dell'Itavia, in volo da Bologna a Palermo con 81 persone a bordo, precipitato al largo di Ustica. Le indagini non hanno potuto accertare cosa sia successo realmente, ma almeno su una cosa sono quasi tutti d’accordo: prima, durante e dopo la caduta dell'aereo di linea, intorno al DC-9 e nella zona adiacente c'è stato un intenso traffico militare, che è sempre stato negato sia dai vertici dell'Aeronautica militare italiana che dalle forze alleate.
Ventisei anni di indagini ostacolate in ogni modo dai vertici dell’Aeronautica militare: registrazioni radio scomparse, pagine di registri aeronautici strappate e sostituite, testimoni morti in maniera misteriosa…
Questo è lo scenario nel quale si è trovato ad operare chi in questi anni ha voluto fare giustizia.
Alcuni dei figli delle vittime crescendo sono diventati avvocati o ingegneri aerospaziali per dare il loro contributo alla causa della giustizia.
Recentemente sono stati assolti i generali dell’epoca perché i reati di cui erano accusati sono caduti in prescrizione, ed anche se tutti lo immaginano, forse nessuno ci dirà mai che quell’aereo è stato abbattuto da un caccia americano della sesta flotta, che in quel periodo si trovava con la portaerei “Saratoga” nel porto di Napoli.
Un bel lavoro è stato fatto da due ingegneri aerospaziali che, tramite la loro tesi di laurea, hanno ricostruito le ultime fasi di volo del DC-9: sembra che l’aereo al momento dell’esplosione, non abbia proseguito la sua parabola discendente, ma sia addirittura indietreggiato per poi distruggersi.
Solo una cosa può giustificare un comportamento fisicamente innaturale come questo, una forza così grande da interrompere ed invertire istantaneamente il moto di una massa di 35000 kg ad una velocità di 900 km/h :un missile.
Nei pressi del luogo della caduta dell’aereo sono stati ritrovati un serbatoio ausiliario (tipico degli aerei da caccia, e per di più di chiara provenienza americana) ed un caccia libico, precipitato nel sud della Calabria.
Si ipotizza che il caccia libico, per entrare inosservato nello spazio aereo, si sia messo sotto il DC-9, (perché una massa grande come un aereo di linea copre completamente la traccia radar di un piccolo aereo militare) e che questo fosse l’obiettivo del missile lanciato dall’aereo americano.
Insomma, tante cose si sono dette, ma la verità resta conservata nell’hangar della base aerea di “pratica di mare” dove si trovano i resti del velivolo, e nella memoria delle decine di persone che hanno fatto di tutto perché i colpevoli di questa strage non venissero puniti.
Per approfondimenti:
“Il muro di gomma” , film, 1991, regia di Marco Risi

“I-TIGI-Canto per Ustica” di Marco Paolini

“IH870 Il volo spezzato” di Amelio-Benedetti, Editori Riuniti

“I caso Ustica”, Raitre, Blu Notte-Misteri Italiani, Carlo Lucarelli

4 commenti:

Wing Chun Kuen ha detto...

Questo è un bell'esempio di come, nel nostro paese, gli Americani, i servizi segreti nostri e loro, gli eserciti in genere abbiano fatto il bello, il brutto e il cattivo tempo... Così come probabilmente è accaduto per la strage di piazza fontana, per la strage di Brescia, per la morte di Feltrinelli, per la strage della stazione di Bologna... eeeehhh c'è solo da volerne da citare, di stragi e simili, imputabili agli Americani, alla Cia o ai nostri servizi segreti "deviati" o da gruppi armati sponsorizzati dalla cia ... Nell'italia della vecchia nomenclatura, della "balena bianca", dell'atlantismo ne trovi quante ne vuoi.
Apprezzo molto questo post e in seguito a questo chiederò a raoul un po' di materiale sul caso...
L'episodio di Ustica è un chiaro esempio di quanto nel quarantennio della prima Repubblica sia mancata la trasparenza, la chiarezza, la lealtà. Governi mafiosi e corrotti si sono succeduti per un quarantennio dandoci come prova del loro malgoverno episodi esecrabili come questo...

Anonimo ha detto...

Un evento ha segnato profondamente me e la mia vita, facendomi a mia volta impegnare nella costruzione di una vera Democrazia nel mio Paese, nella quale alla base di ogni atto di politica interna ed estera del governo, ma anche della vita e del lavoro dei suoi funzionari, di ogni cittadino e straniero in Italia ci sia il rispetto della Costituzione e dei Diritti fondamentali della Persona. Questo fatto è l’uccisione il 2 Febbraio 1992 di Alessandro Marcucci. Un ordigno posto dietro il cruscotto del piper pilotato da Sandro Marcucci, all'altezza dello strumento anemometro,esplose durante il volo quella Domenica e poi il velivolo precipitò al suolo, come ha più volte scritto l’ex capitano Mario Ciancarella in questi anni. Ci sono diapositive in possesso di Mario Ciancarella , le quali dimostrano che quello è un duplice omicidio, in quanto morì a seguito dell’esplosione di quell’ordigno anche Silvio Lorenzini, passeggero avvistatore di Marcucci. Lorenzini è stato sbalzato fuori dal piper, al momento del primo impatto al suolo. La commissione tecnica di inchiesta formale presieduta dalla Dottoressa Italia e la procura di Massa vollero contro ogni evidenza attribuire a Marcucci la responsabilità di quello che venne definito un incidente, in quanto egli, secondo queste loro conclusioni, avrebbe volato sotto il limite di quota consentito per il servizio di controllo degli incendi in cui era impegnato per la Regione Toscana anche quella Domenica e poi ci sarebbero state condizioni di vento sfavorevole. Non venne valutato in quelle loro conclusioni quel primo impatto, in cui Lorenzini fu sbalzato fuori dal velivolo e non sono mai state acquisite le sequenze fotografiche in possesso di Mario Ciancarella. Più volte senza successo purtroppo quest'ultimo ha chiesto la riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Marcucci, si spera che un giorno ciò possa succedere.





Chi era Sandro Marcucci? Semplicemente un uomo e un militare democratico impegnato a combattere ogni illegalità, a cominciare dalla corruzione, all’interno dell’Ami in generale e in particolare a lavorare fino al giorno del suo omicidio, con Mario Ciancarella sul caso prima della strage del Monte Serra del 1977 e poi sul caso della Strage di Ustica, affinché le vittime e i loro familiari potessero avere Verità e Giustizia. Sandro Marcucci insomma si era impegnato nella cosiddetta democratizzazione delle forze armate con il lavoro quotidiano suo e di colleghi come Mario Ciancarella, lontani tutti da qualsiasi corsa al protagonismo o dalla ricerca a tutti costi della ribalta. Mai nessuno ho sentito chiedere qualcosa di diverso dalla Verità e Giustizia, mai nessuno ho visto presentare il conto di quello che sono stati costretti a pagare a tutti i livelli. Ho sentito solo e lo sento ancora chiedere un confronto per costruire una vera Democrazia in cui sia possibile per le vittime e i loro familiari avere Verità e giustizia.



Quante cadute anche mie che non ho saputo impegnarmi nel modo migliore in tutti questi 14 anni! Ogni giorno da questi errori ho imparato che c’è da rimettersi in discussione, noi stessi e le nostre azioni passate e recenti, per continuare a fare solo il nostro, in questa battaglia politica e raggiungere l’obiettivo finale.



Ho capito che la strada sarà molto lunga, ognuno è giusto faccia la propria parte, tutto quello che gli è possibile fare ma ad ogni passo bisognerà essere consapevoli che nessuno di noi risolverà il problema oggi e da solo, non esistono eroi nella realtà capaci di far concludere la storia con il lieto fine. Abbiamo bisogno che tutti, nessuno escluso faccia tutto il suo possibile e poi chi ha fede sa che Colui che nacque, morì ucciso sulla Croce e Risorse ci è vicino tutti i giorni della nostra esistenza e ci aiuterà ad alzarci quando cadiamo, per continuare ad impegnarci per il nostro prossimo(nessuno escluso), ad amarci gli uni gli altri come Egli ci ama. Laura

Anonimo ha detto...

Lucca, data dell’inoltro



Alla Cortese Attenzione de



IL CAPO di STATO MAGGIORE
della AERONAUTICA

Gen. S.A. Leonardo TRICARICO

SEDE ISTITUZIONALE

STATO MAGGIORE AERONAUTICA



00100 R O M A R M



e p.c.



IL PRESIDENTE della REPUBBLICA
On. Sen. Giorgio NAPOLITANO
IL PRESIDENTE del CONSIGLIO

On. Romano PRODI

IL MINISTRO pro tempore per la DIFESA

On Arturo PARISI

I PRESIDENTI della CAMERA e del SENATO

I PRESIDENTI delle COMMISSIONI DIFESA

della CAMERA e del SENATO

IL Giudice Rosario PRIORE

Avv. Alfredo GALASSO

On. Daria BONFIETTI



LORO SEDI ISTITUZIONALI





da Ciancarella Mario

Cittadino gia’ Cap. Pil. A.M.I.





Oggetto: Ustica. Esiti Giudiziari e Sue dichiarazioni.





Egregio Signor Generale,





Nel leggere le Sue personali valutazioni a seguito della sentenza della Corte di Appello sulla vicenda stragista di Ustica (e cioe’ sulle “ferite di guerra inflitte alla Aeronautica che lascerebbero cicatrici perenni”, a Suo parere, a causa della lunga vicenda giudiziaria), ritengo di non potermi esimere dall’inviarLe alcune mie personali considerazioni, per il coinvolgimento diretto e personale avuto in quella drammatica vicenda.



Voglio farlo e devo farlo anche se sono consapevole del rischio di poterLe risultare fastidioso. E certamente saro’ tedioso, per la inevitabile lunga articolazione delle mie argomentazioni. Ma e’ l’unico modo che io conosca per rispondere pienamente solo di cio’ che io abbia realmente detto, evitando possibili arbitrarie interpretazioni e distorsioni del mio pensiero.



Voglio farlo nella imminenza del ventiseiesimo anniversario della strage. Un anniversario un po’ piu’ mesto, non tanto per la mancata condanna di imputati che avevano il pieno diritto, come qualsiasi Cittadino Ordinario, ad ogni garanzia democratica (che prevede dunque anche la loro assoluzione giudiziaria, quando e se non ne sia stata provata la piena e diretta responsabilita’ penale nei fatti contestati), quanto per la rinnovazione della assenza di Verita’ e Giustizia per le Vittime e per la irrisione della loro sorte.



Una irrisione cui contribuisce non poco anche il Suo richiamo a quelle sconcertanti “ferite di guerra” che l’Aeronautica, nel suo complesso, avrebbe subito per le imputazioni contestate tuttavia solo ad alcuni dei suoi uomini. Un pensiero che spinge, a mio parere, la indifferenza per il destino delle vittime fino al dileggio della loro sorte.



La imputazione penale infatti, come ogni altra forma di opposizione di responsabilita’, non e’ mai la presunzione di una colpevolezza certa, ma va sempre vissuta come momento di garanzia di un accertamento limpido dei fatti e del personale coinvolgimento in essi, o meno, degli imputati.



E vorra’ quantomeno ammettere che su un avvenimento come quello di Ustica, accaduto in uno spazio aereo che dovrebbe essere costantemente sotto la garanzia e la vigilanza della Difesa Aerea, una indagine andava pur fatta, e qualche responsabilita’ andava pur accertata. E allora perche’ Lei sente le imputazioni di “Uomini della Aeronautica”, e non dell’Arma in quanto tale, come “ferite di guerra”?



La estensione in copia di questa comunicazione all’ampio indirizzario politico su indicato ha la sola ragione di verificare se e quanto i rinnovati rappresentanti Istituzionali abbiano volonta’ e desiderio di riconsiderare a loro volta, e dispiegando interamente le proprie prerogative funzionali, le reali condizioni di quella strage, per un severo e definitivo accertamento di responsabilita’, indipendentemente dalla verita’ giudiziaria per come essa emerge dalle motivazioni della sentenza di secondo grado. Esiti giudiziari e “sentenze storiche” infatti non possono mai escludere accertamenti e rivisitazioni in altre prospettive, cosi’ come avviene ordinariamente (tranne che nel caso Ustica, purtroppo) nel campo disciplinare che e’ sempre riservato alla Amministrazione dopo gli esiti di una vicenda giudiziaria penale.



Desidero anche comunicare questo scritto, con la estensione in copia, ai familiari delle vittime, attraverso la loro “rappresentante” Sig.ra Bonfietti ed uno dei loro legali – quali che siano stati il pensiero e la valutazione negativa che essi abbiano potuto formarsi nel tempo, e per astuti suggerimenti, su di me -.



Per dire a loro ed a tutti i destinatari che non saranno emarginazioni, giudizi, o sentenze giudiziarie che potranno far tramontare la familiarita’ che con la loro morte le vittime hanno creato e stabilito con me e con quanti hanno dato se stessi, fino alla vita, per difenderne il diritto alla Verita’ ed alla Giustizia. Ne’ piu’ ne’ meno di come la morte del Cristo ci rese incondizionatamente suoi fratelli e concretamente familiari di Dio e di ogni altra Creatura Umana.



A volte sono proprio le pretese di familiarita’ esclusive ed escludenti (come avviene nelle Fedi trasformate in religioni e strumenti di potere dei Governi) quelle che rischiano di trasformare i piu’ diretti familiari di una vittima nei complici piu’ ignari ed allo stesso tempo piu’ funzionali e fondamentalisti delle aspettative di impunita’ dei carnefici loro cari e della sorte di infamia riservata ai familiari “acquisiti”, avvertiti come indebiti intrusi.



E devo questo mio intervento alla memoria del collega e fraterno amico T.Col. Pilota Alessandro Marcucci, perseguito con astiosita’ durante gli ultimi anni della sua carriera militare ed infine ucciso con freddo cinismo.



Ed io credo sia stato ucciso proprio in virtu’ dell’impegno che insieme avevamo dedicato all’accertamento delle responsabilita’ su Ustica e per la pericolosita’ delle nostre conclusioni sulla strage. Conclusioni che ci apprestavamo a tentare di sottoporre, con una nuova legittimazione che ci venisse dai familiari diretti delle vittime o da un ruolo di parlamentare, ai Magistrati inquirenti. Ma anche e soprattutto per le sue personali conoscenze di alcuni aspetti e nomi che non aveva voluto condividere neppure con me.



Ma erano proprio le diversita’ del nostro sentire, che tuttavia riuscivamo a rispettare reciprocamente, cio’ che ci consentiva di lavorare in sintonia con assolta stima e fiducia. Sandro sapeva che non avrei esitato (nel metodo che ho scelto per cercare di tutelare la mia vita, ma anche perche’ in caso di morte nulla di cio’ che io sapessi potesse rimanere di mia esclusiva conoscenza e quindi chiuso con me in una tomba) a rendere pubbliche quelle circostanze e quei nomi, se egli me li avesse comunicati. Mentre egli - generoso e guascone ad un tempo e con la assoluta convinzione che la “responsabilita’ di un Comandante – quale egli si sentiva in ogni circostanza - non potesse e non dovesse tradire mai la fiducia e la richiesta di riservatezza che gli fossero state concesse e richieste dai suoi uomini o da chiunque altro si fosse affifato a lui” - pretendeva di costruire preventivamente le condizioni necessarie per poter parlare senza mettere a rischio chi a lui si era rivolto e in lui confidava.



Fu lui a trasformare la mia indignazione superficiale e “professionale” per Ustica, in un sentimento vero ed inestirpabile di “dovere”, quando mi spinse e costrinse nel 1985 a rimettermi con lui sulla pista di Ustica, nonostante avessimo gia’ pagato entrambi, fin dal primo momento in cui ci interessammo alla strage, nell’estate del 1980, indicibili, prezzi di umanita’ e professionalita’ al nostro impegno per la ricerca della Verita’ sulla strage, per la attribuzione delle responsabilita’ penali, politiche e militari per la sua consumazione e soprattutto per rivendicare la legalita’ e l’onore dell’Arma Azzurra e la sua piena Cittadinanza nell’alveo democratico nazionale, nonostante quanto potesse essere avvenuto.



“Fino a quando il sangue dei figli degli altri varra’ meno del sangue dei nostri figli – egli mi diceva – fino a quando il dolore degli altri per la sorte dei propri figli, varra’ meno del nostro dolore per la sorte dei nostri figli, ci sara’ sempre qualcuno pronto ad organizzare stragi in piazze, stazioni, o nei cieli, avendo la speranza se non la certezza della impunita’.



Dobbiamo divenire familiari di ogni vittima, come lo fossimo realmente e per sangue, per conservare intatta nel tempo la loro stessa capacita’ di memoria, la loro stessa determinazione nella ricerca di Verita’ e Giustizia, e per essere pronti a pagare i prezzi che potremmo essere chiamati ad onorare per questa familiarita’.



E noi, che pretendiamo di essere creduti e stimati quando esprimiamo la retorica del sacrificio della vita sui campi di battaglia per la familiarita’ acquisita nel giuramento con ogni nostro concittadino, come potremo essere ancora credibili quando e se non siamo disponibili a pagare, nella ordinarieta’ della nostra vita e della nostra attivita’ professionale, non con la vita, ma neppure con una promozione negata, un trasferimento, una valutazione negativa, o qualche fastidio familiare o timore di ritorsione violenta la fedelta’ a quei valori per i quali abbiamo giurato e per i quali siamo divenuti Ufficiali?”



Sandro e’ stato ucciso per la sua testarda caparbieta’ nell’inseguire la Verita’ – una Verita’ che si rivelo’ poi non cosi’ difficile da intercettare -, e per la sua determinazione a che il nostro percorso di indagine ottenesse dignita’ e rilievo nei luoghi politici e giudiziari deputati e legittimati a verificarla, ad accertarla e confermarla ovvero per smentirla su basi probatorie, per giungere a conclusioni di Giustizia.



Sulla morte di Sandro e’ stato poi steso un velo di silenzio omertoso, avallato da alcuni Magistrati quantomeno poco curiosi, se non addirittura pavidi, che hanno voluto attribuirgli la responsabilita’ diretta dell’incidente – a seguito del quale perse la vita, oltre lui, anche l’osservatore Silvio Lorenzini, dopo un mese di atroci sofferenze per le ustioni riportate; ma morendo in circostanze di preoccupante sospetto -, rifiutando anche solo di guardare la documentazione fotografica che indubitabilmente accerta la dinamica omicidiaria di quell’incidente. Il Giudice Priore, che mi legge in copia, ha avuto modo di vedere tra i primi quelle foto e di rimanerne sconcertato al punto di mostrarle al suo sostituto Dott. Salvi dicendo: “Guarda come l’hanno ucciso”.



Certo, lui non era legittimato ad indagare su ogni e qualsiasi delitto si consumi nel Paese. Peccato pero’ che anche lui abbia poi dimenticato quei momenti di verita’ e quelle sue oneste valutazioni sulla morte di Sandro, nella stesura della sua sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio degli Ufficiali imputati della strage, dove i miei interventi e le mie deposizioni sono tacciati di una natura intrinsecamente depistante per quanto inconsapevole, e siano stati trasformati in una specie di isterica rivendicazione delle vicende che sarei stato costretto a vivere in servizio, fino alla carcerazione condivisa purtroppo anche da Sandro Marcucci. Eppure quelle immagini sono li’ a denunciare un evidente omicidio.



Un corpo completamente carbonizzato (tranne che nella parte posteriore e carnosa delle cosce) giace ai piedi di un albero non intaccato dal fuoco che si pretenderebbe fosse divampato solo dopo l’impatto al suolo; un braccio carbonizzato e’ a poche decine di centimetri da un serbatoio che la stessa Commissione di inchiesta accerto’ fosse ancora carico di 25 litri di benzina avio dall’altissimo potere detonante; a trenta centimetri dal torace e sulla sua diretta verticale, trattenuto da alcuni filamenti metallici dello scheletro del sedile, e’ visibile il cuscino in gomma e gommapiuma del sedile del pilota ancora intatto e di cui e’ individuabile anche lo zip. Le condizioni del cadavere denunciavano che la vittima avesse respirato “fumi”, avendo i polmoni contratti (come era visibile da uno squarcio nel costato), e che una profonda ferita sul capo era dovuta ad una scheggia di cruscotto che gli aveva asportato anche brani di dura madre cerebrale (i quali, come fu dichiarato poi da un medico - consultato dalla Commissione di inchiesta in quanto frequentatore dell’aeroporto del Cinquale e perche’ appunto medico -, risultarono “non cotti dal fuoco”.



Il volto ustionato totalmente mostra la evidente aspersione di una sostanza metallica fusa. Un brano di cruscotto (con l’alloggiamento dell’anemometro) - che si tentava di inumare con il cadavere e che fu consegnato dal tecnico dell’obitorio, su mia segnalazione, ai Carabinieri - presentava la singolare circostanza di essersi evidentemente fuso e successivamente rappreso (ma in posizione “diritta” e non capovolta come era la posizione finale del velivolo), mentre dall’alloggiamento dello strumento uscivano ancora intatti e flessibili i due condotti in plastica che adducono l’aria statica e quella dinamica al meccanismo di rilevazione della velocita’ (ecco perche’ il riferimento all’anemometro, oltre alla evidenza che quello fosse l’unico pezzo di cruscotto mancante e risultante letteralmente strappato dal corpo restante del cruscotto, come repertato e fotografato dalla commissione. Un cruscotto ove tutti gli altri strumenti erano ancora correttamente alloggiati).



Al proposito potrei allegarLe anche la terribile foto del cadavere di Sandro da cui potrebbe verificare, se lo volesse e senza ulteriori aiuti e suggerimenti, la natura criminosa di quell’incidente, ma non voglio crearLe ulteriore sconcerto e possibili crisi di coscienza.



Vede le realta’ e le conclusioni processuali vanno certamente rispettate in un Paese libero e Democratico (dunque anche le sentenze su Sandro e su Ustica). A condizione pero’ di saper mantenere viva quella liberta’ di critica, motivata ed argomentata, che fa di ciascuno di noi un Cittadino, ad un tempo Sovrano nelle sue prerogative costituzionali e tuttavia consapevole e pronto a rispondere della propria responsabilita’, civilmente e penalmente, per le proprie azioni, per i propri comportamenti, per le proprie affermazioni.



Una consapevolezza che ci chiede di esprimere responsabilmente - “opportune et inopportune”, nei luoghi deputati e non, nelle forme corrette; ma senza occultare la indignazione e la passione civile, e soprattutto senza tener conto opportunisticamente dei costi necessari - il nostro aperto dissenso dalla violazione della Verita’ e dalla negazione della Giustizia. Anche venissero da sentenze della Magistratura, o da affermazioni categoriche ed unilaterali del potere e dei potenti.



Come Lei certamente ben sapra’ non mi sono mai sottratto a tale consapevole responsabilita’, fin dai tempi in cui, in servizio in Aeronautica, cercavo di non accettare la invereconda alterazione delle responsabilita’ per varie illegalita’ diffuse, piu’ o meno grandi, o delle vere e proprie nefandezze che si andavano consumando. E soprattutto per la depistante occultazione delle responsabilita’ per l’eccidio del Monte Serra (38 cadetti della Marina, il loro ufficiale accompagnatore, quattro uomini dell’equipaggio ed il boia di tutti loro, il Cap. Murri), occorso in virtu’ dello scellerato impiego in quel volo di un pilota – il Murri appunto - non piu’ abilitato al pilotaggio a causa di situazioni ancora piu’ ignobili, note ed avallate dai superiori Comandi.



“Continuava nei confronti del Capitano Murri la politica della Forza Armata, di agevolarlo cioe’ nelle sue assenze, determinate dalle condizioni di salute della moglie” - si leggeva infatti nella dichiarazione del T. Col. Andretta alla Commissione di Inchiesta. Benche’ poi si sarebbe visto che quelle condizioni drammatiche di salute della signora erano frutto di una sfrontata e colossale menzogna, assecondata con inverecondia dai superiori.



Una menzogna finalizzata a coprire altri interessi illeciti del Capitano, palesi e di copertura alcuni – un finto commercio di materiali in oro e argento – occulti gli altri e veri – la molto piu’ probabile responsabilita’ di agevolare e dirigere traffici illeciti di armi, significativamente statunitensi, effettuati attraverso il nostro Paese, in note quanto scellerate triangolazioni, per rifornire Paesi sottoposti ad embargo internazionale di forniture d’armi -.



Una menzogna che la Amministrazione ha temerariamente tentato di rinnovare quando la Avvocatura che ne curava gli interessi tento’ di invalidare la mia deposizione in un processo civile celebrato a Roma, quando affermo’ (profittando della ormai avvenuta distruzione dei registri di servizio) che il giorno dell’incidente io non fossi piu’ nel dichiarato servizio di Capitano di Ispezione dal quale sarei smontato il Giovedi’ precedente. Avrei cosi’ compiuto una insopportabile affermazione di falso contro contro la Amministrazione, cercando di infangarne la dignita’.



Malauguratamente per quanti tentarono di accusarmi, rivolgendo contro di me le mie affermazioni, esisteva una relazione al Magistrato Ordinario di Pisa da parte del Comandante della locale stazione dei Carabinieri presso l’Aeroporto (M.llo Ipsale), nella quale il Maresciallo dava conto di aver apposto i sigilli alle camerette degli uomini di equipaggio deceduti nel sinistro, assistito e coadiuvato dal Capitano di Ispezione Ciancarella Mario (cosi’ in grassetto nella relazione).



Questa ulteriore circostanza fu segnalata all’Ufficiale di Polizia Giudiziaria della Base, il quale informo’ di averne esteso la conoscenza alla Procura Militare di La Spezia; ma su tutto e’ scesa ancora una volta l’orrida cappa ed il disgustoso velo di silenzi mortuari e mortiferi.



Non mi sottrarro’ dunque neppure oggi alla possibilita’ che Lei possa ritenere questa mia lettera “offensiva per l’Arma”, e voglia eventualmente chiedermene conto procedendo di conseguenza secondo le vie legali.



Pretende questo mio impegno il sangue delle 80 vittime di quella infame strage di Ustica e di quanti successivamente videro scippata la propria vita a causa del proprio coinvolgimento, diretto o indiretto, complice o investigativo, su quella strage. E questo indipendentemente, come dicevo sopra, dal giudizio negativo e prevenuto nei miei confronti che e’ stato astutamente instillato da abilissimi colleghi dei servizi persino in familiari diretti di quelle vittime.



Temo tuttavia che anche Lei possa sottrarsi (come gia’ fece a suo tempo il Gen. Tascio, destinatario di una Raccomandata Personale di cui ha accusato ricevuta senza ulteriori reazioni) ad un confronto nelle sedi legittime e deputate a valutare il corretto esercizio della mia Liberta’ di critica e di espressione del pensiero, ed a garantire al tempo stesso il diritto di persone terze e di Organizzazioni a non essere infondatamente denigrate, per il timore che, doversi confrontare apertamente e documentalmente con le mie posizioni, possa rovinare il traguardo agognato ed ormai raggiunto della generalizzata impunita’ per gli imputati della strage di Ustica.



Una strage invece premeditata e volontaria; una strage costruita, predisposta ed eseguita per agevolare i progetti di destabilizzazione del regime libico di Gheddafi da parte di altri Governi (e significativamente quello Statunitense); una strage voluta dal livello politico piu’ alto di questo Paese (come ho avuto modo di dire apertamente e pubblicamente piu’ volte senza timori reverenziali – vedi TGR 3 del 12 Agosto 1998 andato in onda alle 19.30, ovvero le ripetute pubblicazioni su quotidiani Nazionali come Liberazione del Settembre 1999, o come accade anche oggi quando inoltro all’indirizzario indicato questo documento, che torna a chiamare direttamente in causa il sen Francesco Cossiga, al tempo Presidente del Consiglio, e l’on. Lelio Lagorio, al tempo Ministro per la Difesa); ed una strage eseguita – male, e per colpa degli eterni conflitti tra le diverse anime dei nostri servizi, spesso al servizio di questo o quell’esponente del potere piuttosto che al servizio esclusivo del Paese e della sua Costituzione – da uomini della Forza Armata, i quali hanno poi mantenuto (o sono stati costretti a farlo anche con il sigillo della morte intervenuta) la consegna di un’omerta’ che non dovrebbe avere dignita’ e cittadinanza tra i Cittadini con le stellette.



Ma forse lo fecero perche’ ancora convinti che l’obbedienza fosse una pregiudiziale “pronta, cieca ed assoluta” (di memoria fascista) verso i superiori politico-militari e non la forma “consapevole e leale” (in ossequiio alla Legge di Riforma sui Principi della Disciplina Militare) del senso di quella disciplina necessaria si’ al raggiungimento dei compiti di Istituto, ma nel piu’ assoluto rispetto della Costituzione e con il vincolo (“dovere”, lo definisce la L. 382/78 all’art. 4) della disobbedienza in caso di ordini illegali o che costituiscano reato.



Mi creda, riesco anche a capire molto bene (grazie alle mie personali esperienze) lo stato d’animo di chi possa trovarsi sul banco degli imputati, nella convinzione di aver operato nel modo piu’ giusto e corretto. Ma le forme e le ragioni di una tale condizione possono essere assolutamente diverse, come ho imparato nel confronto tra le “Lettere dei condannati a morte della Resistenza” e le “Lettere da Stalingrado”. E diversa non puo’ che essere la loro aggettivazione.



Ed io non consento a me stesso (e dunque non ne risconosco ad altri la legittimita’) che le angosce di quanti servirono progetti di illegittima violenza e di autoritaria gestione del potere, e si appellano poi alla “obbedienza dovuta”, ogni volta che siano costretti a vivere da imputati le loro Norimberga, possano ottenere una qualche comprensione, o che costoro possano essere equiparati a coloro che si consegnarono consapevolmente ad un destino di infamia pur di rivendicare i principi di civilta’ e dignita’ umana iscritti nella nostra Costituzione.



E’ la insanabile diversita’, non componibile per quanti sforzi possano essere tentati da una cultura revisionista e negazionista della storia, tra gli uomini che combatterono nella Resistenza e per la Lotta di Liberazione dal Nazifascismo e quanti militarono in una pseudo repubblica, illegittima ed imposta dal regime nazista, cioe’, ancora una volta, da un governo straniero. Ed e’ cio’ che rende assolutamente non condivisibile, e da contrastare con ogni mezzo lecito, ogni intenzione di riaccreditare il ruolo di “gladiatori” che negavano con la loro stessa esistenza la natura Democratica riconquistata da questo Paese, in nome di sbandierati pericoli di invasione da parte del regime sovietico.



Diciamocelo, una volta per tutte: Noi tutti sappiamo che “il pericolo di essere aggrediti ed invasi dall’Unione Sovietica” e’ stata una menzogna grossolana sbandierata al popolo (come ben ci veniva insegnato in Accademia) per giustificare autoritarismi ed ogni atto, piu’ o meno scellerato, che sia stato consumato sul nostro territorio, quando in realta’ era solo il rigido accordo di Yalta cio’ che ci garantiva da ogni aggressione.



Tant’e’ che il tentativo comunista in Grecia, subito dopo la guerra, fu lasciato crollare dal Governo Sovietico nell’assoluta indifferenza e per il totale disinteresse ad alterare il patto dell’Ordine Mondiale che a Yalta era stato sottoscritto.



Altrettanta indifferenza fu dedicata dall’Occidente alla sorte degli insorti Ungheresi e Cecoslovacchi o Polacchi. Ed abbiamo un bel dire che l’URSS sia stata battuta dall’Occidente e la collettivizzazione dal liberismo mercantile e dal capitalismo, poiche’ se non fosse intervenuta la apertura democratica di un uomo, Gorbaciov, a destabilizzare il sistema con due sole parole d’ordine “Glasnost e Pereztroika”, ancora oggi staremmo qui a parlare di sistema dei due blocchi.



Le invio allora uno dei libri fondamentali della mia formazione, che spero possa accettare senza avvertire offesa: “La banalita’ del male” di Hannah Arendt, in cui l’Autrice analizza, in un minuzioso reportage sul processo Eichmann in Israele, i percorsi di aberrante trasformazione di uomini normali, come poteva essere stato appunto Eichmann o potrebbe essere ciascuno di noi, nei piu’ efficienti, cinici e “volenterosi carnefici” di capi politici e militari sanguinari, come fu Hitler o potrebbe essere qualsiasi politico pieno solo di se’ e della propria smodata ambizione, per servirne con dedizione assoluta i progetti piu’ scellerati, come la Shoa o come qualsiasi progetto di sterminio dei propri avversari o di quanti siano ritenuti ostacolo ai progetti dei piccoli e grandi ducetti.



Persone che hanno poi dimostrato la piu’ totale incapacita’ a riconoscere come folle, sbagliata e criminosa la propria scelta di servilismo e di condivisione della pratica del terrore, e che posti di fronte a responsabilita’ personali si sono sempre scherniti, appellandosi pavidamente (si vedano anche le piu’ recenti vicende dei militari argentini e cileni) al criterio antistorico e privo di ogni dignita’ di “obbedienza dovuta”. “Dovuta ai capi”, come potrebbe esserla a Governi diversi da quellp del proprio Paese ma sentiti come poteri preordinati.



Non credo d’altra parte che fossero delle dichiarazioni estemporanee quelle del Gen. Bartolucci, quando diceva, in occasione del rinvio a giudizio, che “se anche avessimo mentito, lo avremmo fatto solo in virtu’ dell’obbedienza ad ordini superiori” (dunque ad ordini politici). Moniti dal vago sapore ricattatorio tra potenziali complici di delitti efferati, non Le sembra? Come puo’ un Ufficiale anche solo prefigurare l’ipotesi di aver mentito su simili vicende?



Mi spiace quindi che anche Lei torni oggi a rivendicare una pregiudiziale non colpevolezza degli imputati (che l’esito giudiziario avrebbe “finalmente” riconosciuto, trasformando in persecuzione, loro e della Arma Aeronautica, la lunga vicenda processuale), ben sapendo invece, io credo, che gli esiti di questo processo si legano in gran parte solo al crollo di coraggio del Giudice Priore, il quale avrebbe dovuto chiudere la rappresentazione della strage con la definizione corretta e certificabile dello scenario omicida e con la chiamata in causa, accanto ai vertici della Aeronautica, anche dei vertici politici che disposero quel progetto di strage e ne diedero l’ordine esecutivo.



Una resa che lo costrinse a definirmi piuttosto come “inconsapevole portatore di elementi inquinanti”, ma solo allo scopo di poter evitare di incriminarmi (essendo “inconsapevole”) e di potersi pertanto esimere dal misurarsi con le prospettive che gli avevo rappresentato in quattro successive audizioni.



Rimangono solo quelle tre paginette, un po’ ridicole, in cui nella sentenza-ordinanza si descrive e si racconta la singolare e sconcertante vicenda di una evidente menzogna per come essa emergeva dalle contrastanti e sconcertanti dichiarazioni di due Carabinieri, in merito ad una medesima circostanza, collegata all’omicidio di Sandro Marcucci, e che mi era stata comunicata con l’evidente scopo di farmi cadere in una trappola alla quale tuttavia ero riuscito a sottrarmi. I due Carabinieri si smentirono a vicenda nelle deposizioni di fronte al Magistrato e tuttavia questi, pur narrando correttamente la loro contraddizione, decise di non avere alcun dovere o necessita’ di capire quale dei due Carabinieri avesse realmente mentito e perche’.



Il Giudice Priore ricevette a suo tempo le mie indignate considerazioni su quel comportamento quantomeno omissivo e reticente, e la mia previsione su un esito ormai scontato del processo farsa che sia andava costruendo sulla base delle sue paure a toccare i fili conduttori della strage, ma fili a tensione evidentemente troppo alta per il suo poco coraggio civile.



Poiche’ e’ infatti evidente come in un Paese Democratico fondato sulla certezza del Diritto, quando una accusa venga costruita forzosamente e malamente in uno scenario delittuoso artificiosamente ed approssimativamente abbozzato - anche al solo scopo di evitarne l’imputazione a piu’ elevati livelli politici, rispetto a quelli degli imputati di elezione - un processo corretto e giusto non possa che sostenere e dimostrare la infondatezza dell’apparato accusatorio e la sua improponibilita’ per costituire argomentazioni e motivazioni serie e giustificate di condanna.



Ma questo e’ un errore di prospettiva giudiziaria, che solo la approssimazione dei Magistrati della accusa, tanto in fase inquisitoria che in dibattimento, e la forse poco libera e indipendente posizione del Magistrato Giudicante, nella ricerca della Verita’ a fini di Giustizia, hanno impedito di correggere.



E d’altra parte, avrebbe mai potuto, un rito mantenuto per reconditi motivi in regime inquisitorio, nel quale cioe’ la prova non si costruisce in dibattimento ma in sede inquirente, forzare i confini su cui si era arreso il Giudice Priore? Io non credo.



Come d’altra parte suona stonato oggi, nell’impugnazione davanti alla Cassazione, il richiamo della Avvocatura dello Stato alla nuova Legge 85/2006 che di fatto ha stravolto il concetto stesso di “Alto Tradimento” relegandolo alla sola consumazione di atti di concreta violenza finalizzati a mutare la natura e struttura istituzionale del Paese (quando e’ a tutti evidente la maggiore ampiezza del concetto stesso di “Alto Tradimento”, necessariamente consumato da funzionari e rappresentanti dello Stato e certamente consumato quando essi assecondino progetti stragisti di ignari ed inermi Cittadini), mentre ha enormemente ampliato il concetto di eversione, decretandone la punibilita’ anche per la sola e mera ipotesi di un disegno di attentato allo Stato che possa o voglia essere attribuito a dei Cittadini dissidenti. (Cosa dovrebbe dirsi allora delle recenti dichiarazioni dell’on. Bossi, secondo il quale il mutamento costituzionale andrebbe perseguito fuori da un processo democratico, e dunque fuori da un contesto di dialettica politica pacifica?).



Sembra quasi che qualcuno, nello Stato, avverta l’esigenza di una definizione giudiziaria che ponga una pietra tombale inamovibile sulla strage di Ustica e sull’Alto Tradimento che la genero’, cosi’ come su tutti i progetti golpisti e le attivita’ stragiste che hanno segnato la nostra storia recente.



E tuttavia, per quanto ampi o ristretti possano essere i confini di una concezione di reato, e’ del tutto evidente che “se si cercano a Nord i possibili riscontri di cio’ che e’ accaduto a Sud” l’esito delle ricerche di prove e riscontri sara’ assolutamente infruttuoso.



Esiste in proposito una arguta aneddotica sulla astuzia dei potenti colpevoli, che - se mai avessimo occasione - potrei riferirLe volentieri, come gia’ feci apertamente e pubblicamente in occasione della costituzione dell’Osservatorio per la strage di Piazza Fontana: qualcuno predispone i “lampioni”, perche’ essi facciano luce solo la’ dove si vuole e su cio’ che si vuole, predisponendo i ricercatori ad abbandonare le ricerche dai “luoghi bui” dove giacciono le prove della colpevolezza.



Certo e’ che fin dal primo istante delle incriminazioni di uomini della Forza Armata per la strage, e della loro pubblica conoscenza (Dicembre 1991 Gennaio 1992) si evidenzio’ una profonda diversita’ di sentire tra i vertici dell’Arma ed i suoi Organismi di Rappresentanza Elettiva, laddove lo Stato Maggiore emanava una asettica dichiarazione di solidarieta’ con gli incriminati:

"(La Aeronautica) è vicina e solidale con i suoi uomini chiamati in causa dall'inchiesta sulla tragedia di Ustica". (16 Gennaio. Nessuna reazione politica o governativa)

mentre il Co.Ce.R. dimostrava una ben diversa sensibilita’ per le vittime civili della strage ed una preoccupata consapevolezza della connessione politico militare che poteva averla determinata, gettando cosi’ ombre e discredito sul quotidiano impegno di fedelta’ al Paese della maggioranza dei Cittadini in divisa azzurra:

"(Il Co.Ce.R. della Aaeronutica) esprime solidarietà ai parenti delle vittime del DC9 Itavia (ed esprime la speranza che) sia fatta piena luce sulle responsabilità politico-militari della strage di Ustica (e sottolinea infine ) l'opera quotidiana della Aeronautica a difesa delle libere istituzioni" (17 Gennaio. Rinnovata indifferenza politica o governativa).

Basta poco per vedere, e per capire, come da un lato si parlasse di “tragedia” e dall’altro di “strage”.

E’ nello spirito di quella dichiarazione del Co.Ce.R. che voglio oggi confermarLe, ancora una volta, come io non sia mai stato mosso nel mio agire (ed oggi nel mio tornare a dire) da alcun risentimento personale verso l’Arma per le vicende che possano essermi accadute durante gli anni del servizio, checche’ possa aver scritto nella sua sentenza di rinvio a giudizio per Ustica il Giudice Priore.



Ho fatto cio’ che ho fatto (e faccio quel che faccio) solo perche’ era (ed e’) giusto e doveroso farlo in fedelta’ a quel giuramento che ha reso ciascuno di noi, ontologicamente, un Ufficiale al servizio esclusivo del Paese.



E come piuttosto io sia motivato dalle altissime lezioni di onore militare e di fedelta’ costituzionale che assimilai dall’incontro con degli splendidi Uomini, Cittadini e Sottufficiali – e qualche raro Ufficiale, ma di altissima dignita’, come si dimostro’ Sandro Marcucci - che avevano dato vita al Movimento Democratico dei Militari, confermandomi nei medesimi valori che mi erano stati proposti dai formidabili formatori militari da cui ebbi la fortunata ventura di essere educato negli anni dell’Accademia – il Gen Cazzaniga ed il Gen. Rea su tutti -.



Essi, nel ripropormi ad esempio quelle consegne sulla detenzione e conservazione delle armi che cosi’ spesso venivano da noi allievi assimilate come sciocche cantilene vuote di vero significato, mi insegnarono che la “pulizia dell’arma” era fondamentale non per esibirla senza timori di sanzioni disciplinari a qualsivoglia ispezione; ma perche’ quell’arma e’ comunque soggetta a “sporcarsi”, sia per l’uso che per il non-uso.



E dunque, se non costantemente pulita e ripulita, al momento di dover essere impiegata - per gli scopi legittimi di difesa, sicurezza e garanzia delle Istituzioni e della Societa’ Civile per cui era stata affidata a qualsivoglia militare – quell’arma avrebbe potuto incepparsi e determinare, oltreche’ il rischio personale dell’operatore, il fallimento dei compiti istituzionali.



Ogni ispezione dunque non doveva essere vissuta con timore o volonta’ di occultare responsabilita’ omissive nella dovuta pulizia; ma come momento di verifica necessaria e di auspicabile collaborazione al miglior assolvimento dei propri compiti istituzionali, ed ogni eventuale sanzione disciplinare non doveva essere vissuta come momento di frustrazione cui tentare di sottrarsi con ignobili espedienti, ma come momento ed occasione educativi e di miglioramento.



Quello di ogni Ufficiale, essi mi insegnavano - con la gravita’ che l’argomento esigeva -, e’ dunque un compito di costante preparazione all’impiego ed al comando, che non si disgiunge mai tuttavia da una costante attenzione alla “pulizia dell’arma”. Dalla piu’ piccola automatica fino all’aereo piu’ sofisticato, e persino all’Arma intesa come Organizzazione ed Apparato.



Sapere, e riconoscere, che anche “l’Arma” possa “sporcarsi”, per l’uso o il non uso, ed impegnarsi a snidarne e ripulirne ogni minimo ricettacolo di impurita’, non e’ dunque una pratica di umiliazione della Organizzazione, alla quale sia lecito rispondere con arrogante negazionismo e ambigua alterazione delle circostanze, ma significa avere consapevolezza del dovere di piegarsi umilmente a ripulirla costantemente da ogni sporcizia, proprio per tutelarne la dignita’ e l’onore, l’efficienza e l’efficacia.



E’ solo in questa prospettiva, concludevano, che puo’ trovare senso e dignita’ quel terribile potere consegnato ad ogni Comandante che e’ la possibilita’ di mandare a morire gli Uomini che la Nazione abbia loro affidato per la propria Difesa e per la Sicurezza di ogni Cittadino e delle Istituzioni. E’ solo cosi’, offrendo cioe’ a quegli uomini la certezza di avere alle spalle un’Arma pulita, che si puo’ dare loro anche la convinzione della giustezza e congruita’ del rischio cui siano chiamati ad esporsi.



Assecondare invece pratiche improprie, lasciare indisturbate sacche di poteri illegittimi o gestiti con arbitrio, rimanere passivi di fronte a qualsiasi corruzione, nella cultura omertosa del “me ne frego” di memoria fascista o del piu’ attuale e diffuso “tengo famiglia” (in cui qualcuno spera forse di potersi ritagliare “improbabili nicchie di vita onesta”), significa divenire complici della devianza istituzionale e privata.



Una complicita’ che lascia che i germi patogeni attecchiscano nel corpo profondo di una organizzazione consentendo loro di devastarla con diramazioni metastasiche invasive. Ogni vicenda di corruzione e di scandalo nel nostro Paese, da quelle politiche e politico-finanziarie fino alle recenti vicende “del mondo del pallone”, dimostrano che questo e’ il destino ineludibile di ogni organizzazione dove non sia rimasta desta la vigilanza sulla “pulizia necessaria” di ogni suo minimo meccanismo. Dove cioe’ muoia progressivamente il senso della specifica “deontologia professionale”.



C’e’ dunque qualcosa di molto stonato nelle parole con le quali oggi Lei parla di Ustica come di una terribile “ferita di guerra”, che sarebbe ormai sanata dagli esiti processuali, ma che lascerebbe e lascera’ per sempre una “indelebile cicatrice”. Pensi a cosa potrebbero allora dire i familiari di quelle vittime ignare ed inermi, e rimaste deprivate di Verita’ e di Giustizia, che hanno visto continuativamente riaperte le proprie ferite, non ultimo da questa sentenza di invero basso profilo giuridico e di scarsa ansia per la Verita’ e la Giustizia.



Certo, Lei ha ragione: il tempo sana ogni ferita che non sia mortale. E, come Lei dice, ogni ferita lascia comunque cicatrici, tanto piu’ profonde quanto piu’ vasta fu la ferita inferta. Tuttavia Lei ha parlato di ferite di guerra. E questo puo’ solo voler dire, nelle parole di un militare, che quelle ferite alla Aeronautica sarebbero venute da “un avversario, un nemico o comunque da un traditore” considerato attivo in azioni di guerra contro l’Arma Aeronautica. Poiche’ in guerra ordinariamente si viene feriti solo dagli avversari, o diversamente si parla di “fuoco amico” (e lo si fa con ben altri toni, di amarezza si’ ma di comprensione e accettazione, se non di giustificazione) e non piu’ di ferite di guerra.



Essendo dunque venute quelle ferite di guerra cui Lei riferisce da un’Istituzione dello Stato (la Magistratura Inquirente?) e da ambienti della Societa’ Politica e Civile (Parlamento e Informazione, chi altri – noi, militari democratici, forse -?), temo che possa e debba intendersi che “il nemico o il traditore” sia da considerarsi, dalle Sue parole, annidato in quello stesso Stato che pure l’Aeronautica riteneva di servire. Purtroppo non si tratta di un concetto nuovo in assoluto tra i vertici militari quello di considerare lo Stato Democratico e Costituzionale come il vero nemico.



E’ facile ricordare infatti come un altro Generale, Capo di Stato Maggiore della Aeronautica prima e della Difesa poi – il Gen. Mario Arpino -, abbia ritenuto di poter confessare impunemente davanti alla cd Commissione Stragi (in realta’ “Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno del terrorismo e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili di strage” – non sulle stragi tout court dunque -) come ancora negli anni recenti delle indagini giudiziarie su Ustica, una larga parte del Parlamento (e cioe’ segnatamente i partiti della tradizione Comunista) venisse considerata dagli ambienti di vertice della Aeronautica come “espressione del nemico”.



E dunque questo sentimento (“legittimo”, a Suo parere? Credo sia importante dichiararlo e prendere posizione) avrebbe giustificato le menzogne e le reticenze accertate nella vicenda Ustica, ed in particolare sulla circostanza del MIG libico rinvenuto sulla Sila.



Vicenda che avrebbe costituito, nelle parole del Gen. Arpino, una succulenta occasione di “trattativa commerciale” – da mantenere riservata e negata anche a Governo e Parlamento? (sic!) - con i corrispondenti servizi dei partners alleati.



Benche’ non venisse spiegato dal Generale come fosse possibile giustificare, alla luce della Costituzione e delle Leggi che ne discendono regolando il rapporto tra le Istituzioni e gli Apparati, un simile comportamento. Ed ancor meno come fosse possibile che la dichiarata e necessaria riservatezza su quella eventuale trattativa commerciale potesse essere mantenuta per ben 18 anni, e dunque ben oltre il suo ragionevole esaurimento!!



Come fosse possibile sostenere quella tesi anche dopo aver consentito che il nostro Governo concordasse con quello libico la riconsegna del cadavere del pilota ed alcuni “rottami strategici del MIG”.



E’ facile pensare che il corpo di quel pilota sia stato sottratto ad ulteriori accertamenti per evitare di poter fissare correttamente la data cui far risalire il decesso. E’ facile pensare che quei pylons restituiti non avrebbero piu’ potuto dire ad alcuno se avessero recato serbatoi supplementari o supporti di armamento, o “nulla” se non la farsa di aver recato missili mai montati.



Come si giustificava quindi quella sfrontata affermazione del Gen. Arpino, di fronte a Rappresentanti di quel Parlamento in cui, se mai qualcuno era stato considerato estraneo all’arco costituzionale (benche’ non mai “apertamente nemico”), cio’ era avvenuto solo nei confronti degli esponenti del MSI, figlio diretto e diretto della RSI di Salo’, e non certamente del PCI, coartefice con gli altri della architettura costituzionale?



La risposta a me sembra di una evidenza sconcertante: o in realta’ tutto, nella strage di Ustica, si era compiuto in assoluta obbedienza ad ordini politici superiori (comunque illegittimi ed ai quali era doveroso opporre disobbedienza e denuncia alle Autorita’ competenti), e dunque il silenzio verso il Parlamento si fondava sulla garanzia offerta dalla “complicita’ governativa” (e cio’ avrebbe costituito una insopportabile limitazione della attivita’ del Parlamento, per quanto tramata da uomini di Governo – e con questo si tornerebbe dunque pienamente nelle ipotesi di reato di “Alto Tradimento” configurato), o la consapevolezza di aver comunque commesso atti configurabili come “Alto Tradimento”, aveva suggerito a qualcuno dei responsabili di tacere la scomoda verita’ fino a “tempi politicamente migliori” (cioe’ quando l’ignavia e l’incompetenza di larga parte dei Rappresentanti Politici avrebbe consentito che l’oblio e l’indifferenza avessero prevalenza anche sulla dignita’ delle funzioni Parlamentari, se non sulle esigenze di Verita’ e Giustizia delle vittime). Condizioni che evidentemente si riteneva fossero maturate nel 1998-1999 quando il Gen. Arpino deponeva in un clima di rilassata e collaborativi serenita’ davanti alla cd Commissione Stragi.



Ma per il fatto che improbabili rappresentanti del Popolo - cosi’ poco consapevoli del proprio ruolo nonostante fossero componenti del Parlamento e di quella Commissione - non abbiano ritenuto di chiedere conto al Gen. Arpino di quelle affermazioni, sotto il profilo penale e disciplinare, non per questo la gravita’ di simili affermazioni, che aggredivano in modo talmente profondo le Istituzioni Democratiche del nostro Paese, le rende meno meritevoli di sprezzante censura.



Come ben vede, Sig. Generale, sarebbe bastato molto poco per confermare anche le sole responsabilita’ penalmente contestate di “Alto Tradimento” pur in assenza di uno scenario accertato della strage. Non si e’ voluto, e questo ci ha condotto alla ovvia sentenza di proscioglimento.



Va detto che di fronte al Parlamento si sono consumate altre incredibili affermazioni da parte di militari. Come nel caso del Generale Corcione il quale, come primo militare assurto alla funzione di Ministro per la Difesa in un Governo Democratico della Repubblica (ed in un Governo di centro-sinistra), ebbe la spudoratezza di affermare e raccomandare riferendo davanti alle Commissioni Difesa di Camera e Senato, in relazione alle vicende delle cd “rubacchiopoli militari”, che “non bisogna umiliare il mondo militare il quale e’ portatore di valori affatto diversi da quelli, pur nobili – bonta’ sua -, della Societa’ Civile.” Questo in virtu’ della considerazione, secondo le parole del Generale-Ministro che “quanto indebitamente sottratto allo Stato era evidentemente sentito dai responsabili come un emolumento comunque dovuto” (per quanto negato dalla Legge, sia ben chiaro ndR)!!



Ma mi chiedo e Le chiedo allora - trattandosi di Forze Armate che traggono la loro legittimazione, le loro risorse umane finanziare e tecnicostrutturali proprio da quella unica e specifica Societa’ Civile Nazionale, ed essendo le Forze Armate, come tutti i Cittadini di quella societa’, soggette esclusivamente all’imperio della Costituzione e della Legge vigente, secondo le norme fissate dal Parlamento - di quali altri valori potrebbero essere legittimamente portatrici le Forze Armate se non di quegli stessi (e di quei soli) Principi Costituzionali che vincolano ed informano ogni altro Cittadino e tutte le Istituzioni del Paese (senza alcuna riserva di impunita’ per nessuno, se non per il Presidente della Repubblica, e solo per gli atti compiuti nell’assolvimento del suo mandato, ad eccezione comunque dell’Alto Tradimento)?



Non Le sembra che questo ragionamento sia una deduzione assolutamente logica e non contestabile proprio in virtu’ dell’art. 52 che recita: “L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito Democratico della Repubblica”?



Non Le sembra che ritenere “comunque dovuto” qualcosa che non sia riconosciuto legittimo dalle Leggi dello Stato vada considerato come una forma insopportabile di disprezzo verso le Istituzioni Democratiche, che per un Militare e’ un sentimento propedeutico a propensioni golpiste e di “Alto Tradimento”?



E allora ci dica, cortesemente: di quale guerra parla oggi Lei, quando riferisce alle “ferite di guerra”, che l’Arma avrebbe patito dalla vicenda processuale di Ustica? E’ forse una guerra quella di uno Stato che, nella sua Magistratura, attraverso la sua libera informazione e le espressioni della Societa’ Civile, chiede e pretende dai suoi apparati di aver conto, ancor prima di cio’ che abbia commesso, quantomeno di cio’ che abbia omesso di fare, e perche’?



Ed allora e’ forse proprio questo modo sconvolgente di mutare le Forze Armate in corpo separato dello Stato e “altro dallo Stato” (nell’ottica distorta di una assoluta e insindacabile funzione unicamente garante, in modo pretoriano, di un Potere Politico Personalizzato a sua volta, e stravolto in Autoritarismo e pretesa assoluta di impunita’) e di identificarle esclusivamente con la personalizzazione dei suoi uomini di vertice, piuttosto che qualificarle per i comportamenti coerenti, di tutte le sue articolazioni, con il dettato costituzionale e legislativo, cio’ che potrebbe aver portato il Procuratore Militare a ricordare come delle Forze Armate si dicesse “beata insula incontaminata dal contagio della Costituzione”. Un criterio che, vorra convenirne, consente poi ogni aberrazione e ogni deviazione, di cui Ustica e’ certamente l’insuperabile suggello, ma che ha dato esibizione di se’ cosi’ in Somalia come nella vicenda Scieri.



Non so quanto Lei sappia o abbia conosciuto realmente della vicenda Ustica, e dunque mi sento costretto a riproporLe lo scenario che avevamo intercettato Sandro Marcucci ed io nelle nostre ricerche, in maniera puntigliosa anche se non certamente esaustiva (al riguardo ho redatto una lunga memoria di oltre 300 pagine). E di porLe ineludibili interrogativi cui la Sua qualita’ e natura di Ufficiale dovrebbe sentirsi impegnata a rispondere.



E Le dico subito che, come potrebbe confermarLe il Giudice Priore – al quale, ripeto, scrissi in tempi non sospetti che il suo timore ed il suo rifiuto di poter arrivare a individuare e dover indagare le responsabilita’ congiunte politico militari nella costruzione e nella esecuzione della strage avrebbe determinato il fallimento giudiziario della sua pur coraggiosa indagine -, che l’assoluzione a mio parere e’ arrivata solo per la assenza delle “domande giuste”, e per la superficialita’ di conoscenze specifiche militari che ha permesso ad alcuni Magistrati di assecondare e lasciar balenare, sullo sfondo della incapacita’ inquirente, il progetto da sempre preparato come “alternato”: quell’effetto “bomba” che, per quanto non accertato ed accertabile, avrebbe definitivamente occultato l’impiego di un missile a testata inerte.



E il concetto di “alternato”, specie per noi piloti, vorra’ convenire, ha una valenza di “preparazione preventiva alla missione” che nel caso della strage ne accerta inequivocabilmente la condizione di “premeditazione”. Di questo torneremo a parlare piu’ avanti.



Ma comunque, che Lei sappia o meno della vicenda Ustica, non potra’ mai negare di conoscere perfettamente il ruolo, i compiti e le responsabilita’ della “difesa militare” di un qualsiasi sito e di un qualsiasi bene tutelato.



Dall’ultimo garage e persino dalla “famosa panchina” (sottoposta stabilmente a vigilanza armata, e che era divenuta stabile consegna di reparto per il “capriccio passeggero” di un Comandante che aveva dimenticato o ritenuto superfluo revocare poi la disposizione), sino alla difesa dello spazio aereo, Lei come ogni altro militare ed aviatore sa che la “guardia” non puo’ sottrarsi comunque alle responsabilita’ per qualsiasi cosa accada all’interno delle sue consegne ed al severo accertamento dei propri comportamenti in caso di penetrazione di agenti non autorizzati, cosi’ dell’uso o come del non uso delle armi assegnate contro tali agenti.



Piu’ volte, in programmi televisivi, e’ stata mostrata la Organizzazione Aeronautica e vantata la capacita’ della Difesa Aerea di intercettare e contrastare qualsiasi tentativo non autorizzato di penetrazione, di qualsiasi aeromobile, nello spazio aereo nazionale. E Lei sa perfettamente che la “guardia” e’ comunque soggetta all’accertamento di legittimita’ per “violata consegna” sia che usi la propria arma (accertamento delle condizioni di eventuale eccesso di legittima difesa), sia che non la usi.



Non e’ schizofrenia, ma semplicemente cio’ che fa la differenza tra la dignita’ di chi reca un’arma in nome e per conto di uno Stato Democratico, per finalita’ di Sicurezza e Difesa, ed un qualsiasi criminale che reca, esibisce ed usa invece armi solo per accreditare il proprio potere, incutere timore e indurre a soggezione.



Certamente, potra’ ancora convenire, se all’interno delle consegne di un qualsiasi militare fosse rinvenuto il cadavere di qualcuno, e la guardia si professasse ignara di come e quando cio’ possa essere accaduto, non vi e’ alcun dubbio che essa subirebbe gravissime conseguenze disciplinari e penali militari. Si darebbe il caso, come si diceva nella vulgata di caserma, di gettare in una cella il malcapitato senza attendere l’esito di alcun processo penale e buttar via la chiave.



Accadde una cosa simile al Comandante della Difesa Aerea Sovietica, quando non fu in grado di intercettare il famoso velivolo che atterro’ sulla Piazza Rossa. Ricorda? Immediate dimissioni con disonore. Da noi no, cio’ non e’ mai accaduto, ogniqualvolta qualche militare sia stato trovato coinvolto nei piu’ scellerati progetti contro la Nazione e la sua Sicurezza, contro l’onore e la disciplina militari.



Ebbene la Aeronautica nei suoi uomini di vertice, per la vicenda del MIG libico, ha preteso di essere creduta, ed essere ritenuta comunque esente ed indenne da qualsiasi responsabilita’, quando ha dichiarato di ignorare le modalita’ ed i tempi di penetrazione di quel velivolo nello spazio aereo nazionale e della sua precipitazione sul nostro territorio. Prima ancora dunque dell’accertamento della data in cui quella penetrazione e quella precipitazione erano avvenuti, e per qualsiasi scopo ed obiettivo quella penetrazione fosse avvenuta, andava accertato come era stato possibile che si realizzassero quelle condizioni senza coscienza ed intervento della Difesa Aerea.



Questo e’ il vero e lucido delirio della pretesa di impunita’ di un potere che vuole essere totalizzante ma ignora e rinnega qualsivoglia responsabilita’. E sa al tempo stesso operare per evitare che occhi attenti guardino nelle giuste direzioni e possano acquisire le corrette competenze per fare le giuste domande. Le raffinate tecniche delle “polpette avvelenate” non sono specialita’ dei mestatori, ma dei reali responsabili di ogni crimine e dei loro complici, come chiunque di noi ha imparato nei suoi corsi di formazione ad Ufficiale.



Ed e’ arrivata a sostenere, l’Aeronautica nei suoi vertici, che quel velivolo fosse penetrato e precipitato proprio in quel giorno di Luglio in cui invece era in atto una esercitazione internazionale congiunta Nato-Francese (“Devil’s Jam” = Marmellata di diavolo) per sondare la capacita’ di interdizione delle forze alleate contro penetrazioni ostili dal fronte Sud e per dimostrare a quale sorte (diventare “jam”) si sarebbe esposto qualsiasi “dedevil” che avesse ardito tentare di penetrare nello spazio aereo o marittimo di competenza. Un’esercitazione “perfettamente riuscita”, che ottenne il plauso di tutti i Comandi partecipanti e degli ospiti politici a bordo delle ammiraglie (anche il Presidente del Consiglio Cossiga, se non vado errato).



Eppure quella “riuscitissima operazione” non sarebbe stata in grado di intercettare (e nessuno sembrava in grado di darne conto o interessato a farlo, e ancor meno richiamato da chi di dovere con l’ordine di farlo) quella materiale penetrazione di un velivolo ostile nel nostro territorio spazio aereo, fino alla sua “inspiegabile” precipitazione su quel costone calabrese.



Ecco perche’ “questa puttanata del MIG”, come la defini’ parlandomi al telefono il povero Mllo Dettori, (abbinata alla constatazione che la autonomia del velivolo non gli avrebbe mai permesso di arrivare sino al luogo di precipitazione ove fosse decollato davvero da un aeroporto libico) allerto’ la mia attenzione e diede vita alla ricerca di Sandro Marcucci e mia, molto piu’ di quanto non avessero ottenuto le parole dello stesso Sottufficiale venti giorni prima quando, agitato e pieno di grande timore per la sua vita, mi aveva avvertito “Comandante, siamo stati noi”. Non era facile credere ad una simile affermazione senza altri riscontri. Ma successivamente “questa puttanata del MIG” non poteva non costringerci ad una severa verifica e ad una stringente indagine.



Puo’ negare che sia una sequenza corretta dal punto di vista quantomeno logico e militare?



Tant’e’ che lo stesso Gen. Arpino, non riuscendo a controllare la propria professionalita’ oltre i temi sui quali si era “ben preparato” per sostenere le menzogne predisposte, afferma davanti alla cd Commissione Stragi, durante la audizione del Novembre 1998, e riferendosi ad una eventuale attivita’ aerea francese con base su Solenzara, in Corsica:



“Noi non sappiamo se ci sono state esercitazioni di tipo diverso e su scala diversa; i nostri radar pero’ avrebbero visto questa attivita’; ma non mi risulta.



Dunque e’ certo che ai radar della difesa non possa sfuggire alcun movimento aereo nello spazio di controllo di competenza. Nessuno, tranne quello del MIG. Assolutamente inverosimile!



Ora converra’ che se le domande dei Magistrati fossero partite da questa semplice richiesta sul funzionamento ordinario ed “atteso” della Difesa Aerea, e sulla richiesta di giustificazioni sulla conseguente anomalia non solo della vicenda del MIG ma anche dei comportamenti successivi al “rinvenimento” dei rottami sulla Sila, ben difficilmente si sarebbe potuti giungere alle conclusioni assolutorie e negazioniste della stessa rilevanza della vicenda del MIG.



Ma queste domande nessuno le ha fatte ne’ agli imputati ne’ agli esperti. E tantomeno qualcuno ha chiesto conto al Generale Arpino, anche in sede giudiziaria oltreche’ politico-indagatoria, del come ritenesse di poter giustificare la affermazione di considerare una parte rilevante del Parlamento liberamente eletto dai Cittadini come parte “collusa con il nemico”, e da cio’ trarre motivo per menzogne protratte per oltre 18 anni. La Costituzione non lo prevede ma tant’e’ nessuno ha opposto contestazioni correttamente argomentate ai responsabili Aeronautici.



Ed ancora: il Tribunale, mi sembra di poter dire, non ha indagato con la dovuta attenzione e consapevolezza la vicenda del famoso Zombie 56, il velivolo di Gheddafi.



Ora Lei sa perfettamente, come io so, che quando esiste una autorizzazione internazionale di sorvolo del territorio spazio aereo (“clearence”) per un vettore aereo straniero – qualunque sia il nomignolo che si voglia attribuire a quel volo - e’ evidente la necessita’ che gli Uffici preposti al rilascio siano perfettamente consapevoli della natura e dello scopo di quel volo e, nella circostanza libica, dunque di un velivolo potenzialmente ostile, anche della natura degli occupanti del velivolo.



Perche’ dunque il Tribunale ha ritenuto di poter praticamente escludere a priori la presenza di Gheddafi su quel volo (o di ritenerla indifferente), quando lo stesso “Colonnello” libico aveva parlato di quella circostanza, ed ammesso la sua presenza su quel volo, in una lunga intervista ad Italia 1 nel 1994?



Forse perche’ il Tribunale ha dimenticato (o era ignaro) che l’Ufficio preposto al rilascio di ogni clearence e’ il SIOS Aeronautica (che al tempo si “leggeva” come Gen. Tascio) e che dunque era al responsabile di quell’Ufficio che andava chiesto chi avesse siglato la clearence, per quale motivo, e sulla base di quali informazioni.



Sarebbe potuta allora emergere una doppia e singolare circostanza. Quella che al tempo aveva fatto rizzare i nostri capelli, le nostre orecchie e la nostra intelligenza in quella nostra autonoma ricerca investigativa.



Primo: il volo di Gheddafi era stato autorizzato su una rotta molto diversa da quella inizialmente richiesta. Era stata infatti richiesta una clearence (a quanto ci fecero sapere colleghi controllori di Ciampino) su una rotta tangente allo spazio aereo italiano (Bengasi – Brindisi – Belgrado – Varsavia) e stranamente era stata invece autorizzata una rotta tutta interna al nostro territorio spazio aereo (Bengasi – Palermo – Ponza – Ancona – Belgrado – Varsavia). Perche’? Nessuno lo ha chiesto ad alcuno o ha voluto chiederselo e chiederlo.



Non avrebbe dovuto essere difficile individuare gli uomini di servizio che avevano trattato e comunicato quella clearence, e sapere da loro quanto e come fosse intervenuto il responsabile dell’Ufficio Sios, il Gen. Tascio, nell’autorizzare quella singolare variante. O meglio, non sarebbe stato difficile se non fosse stata avallata quell’altra “puttanata” che e’ stata sciorinata dal Gen. Arpino alla cd Commissione Stragi e cioe’ che nella Forza Armata Aeronautica sia possibile alterare ordinariamente ed impunemente gli statini di servizio, anche al puro e semplice scopo di occultare alla propria famiglia (ed in specie alla propria moglie, evidentemente) qualche “marachella”. E siamo al limite dell’inaudito, del disgustoso e del raccapricciante, per un ambiente di Cittadini con le stellette.



Ma c’e’ un secondo aspetto, piu’ grave e problematico, che per essere approfondito avrebbe avuto bisogno di una ben piu’ ferma decisione dei Magistrati di non sottrarre all’indagine il vertice politico-militare e lo scenario internazionale a supporto ed a scenografia della strage.



Infatti Gheddafi non avrebbe mai potuto pensare di chiedere autonomamente, a meno di essere stato attratto in una trappola mortifera e mortale, di volare proprio in quel giorno alla volta Varsavia. E comunque il Sios (cioe’ il Gen. Tascio) – se non si fosse trattato di quella trappola micidiale che noi credemmo di aver intercettato e decodificato - non avrebbe potuto assolutamente rilasciare quella autorizzazione al sorvolo alla volta di Varsavia, a meno di determinare un incidente diplomatico internazionale.



In quei giorni, dal 25 al 29 Giugno, era infatti ospite del Ministro per la Difesa Polacco, il Gen. Jaruzelski, il suo corrispondente francese Bourges. E questo, a meno di una convocazione clandestina di Gheddafi, ad un tavolo riservato di trattativa diplomatica, non avrebbe mai consentito alla Polonia di autorizzare l’arrivo di leader libico sul proprio territorio.



Era ancora troppo fresca la umiliazione subita nel CIAD dalla Francia, ad opera dell’intervento delle truppe libiche, con la conseguente costrizione a chiudere la ambasciata francese di D’Jamena. Erano troppo vive le reciproche minacce di aggressione e ritorsione (fino alle pubbliche dichiarazioni di volonta’ di impiegare anche armamenti nucleari o di realizzare devastanti serie di omicidi) che le due diplomazie Franco Libiche andavano scambiandosi in quei giorni, per poter consentire una visita non programmata di Gheddafi. A meno che, appunto, quella visita non fosse stata invece sollecitata dallo stesso Jaruzelski, come mediatore ed “alleato” in qualche misura, o comunque simpatizzante e garante, del Governo libico non foss’altro che per la collocazione geopolitica del suo Paese, come condizione di un “riconoscimento francese”, una presa d’atto della vittoria Governo libico in Ciad e per la apertura di trattative diplomatiche riservate per la composizione dei rapporti conflittuali tra i due Stati.



Avrebbe mai potuto Gheddafi, nel suo ben noto narcisismo, rifiutare un simile allettante invito?



Come non vedere in questa prospettiva (della creazione di un’astuta trappola contro il leader libico) la sola ragione per cui quella clearence venne rilasciata, e perche’ lo fosse proprio su quella rotta inusuale? Come non leggere in questa prospettiva la reazione di Gheddafi nell’Agosto successivo, alla scoperta del progetto di rovesciamento del suo regime? Una scoperta che condusse in carcere un ingegnere italiano e che determino’ la feroce reazione del rais contro le truppe ribelli concentrate a Tobruk, con l’uccisione di oltre mille uomini e la costrizione al suicidio per il Gen. Shaibi? Come non leggere nella costruzione comune di quella trappola la ragione di complicita’ internazionale (statunitense, italo, franco, polacca) che avrebbe poi reso vano ogni tentativo di collaborazione alla Verita’ da parte dei Governi dei Paesi coinvolti? Come non vedere in quella significatica partecipazione del Gen. Jaruzelski al complotto internazionale la ragione per cui gli fu lasciata mano libera nella presa di potere sulla Polonia, nell’anno successivo?



Come non leggere in questa stessa prospettiva, la serie infinita di ricatti reciproci che i governi “complici” si sono scambiati tra loro stessi ed hanno dovuto subire dal loro obiettivo mancato: il Col. Gheddafi? Dalla strage punitiva di Bologna (per la mancata corretta esecuzione del piano Ustica) alla vicenda di Sigonella, ai missili italiani Otomat sparati da Gheddafi verso Lampedusa, ai rifiuti di concessione di scali aerei sul nostro territorio per le missioni statunitensi punitive verso Gheddafi, e cosi’ via dicendo?



Quando, alla fine del nostro percorso, a Sandro Marcucci e me furono chiare le precise dinamiche e queste scellerate motivazioni della esecuzione di inermi cittadini civili ed il contesto di guerra fredda in cui essa si compi’, la memoria di quel criterio della intelligence statunitense che risponde al nome di “attacco alla fattoria” (del tutto simile al nostro piu’ antico e forse piu’ aulico “creare artificiosamente un casus belli” cui ricorse persino Hitler per dichiarare guerra alla Polonia, cercando qualche parvenza di legittimita’), rese tutto molto piu’ comprensibile.



E peggio lo illustro’ il Presidente Cossiga quando elaboro’, pur rivestendo le sue altissime funzioni di massimo garante della Costituzione e in una poco nobile forma anonima, quel suo scellerato panphlet su “A cosa servono i servizi”, dove illustro’ cinicamente le condizioni in cui possono disporsi e finanziarsi “covert action” finalizzate a realizzare atti di sabotaggio e terrorismo per conseguire i fini ed i beni che i vari Governi possano essersi assegnati o per contrastare attivita’ di pericolo.



Fini e beni che non sarebbero, a giudizio del Presidente emerito, acquisibili in via legale o in forma “aperta”, o attivita' di pericolo svolte in forme illegali e contrastabili, in modo efficace, solo nello stesso modo. (Cioe’ in modo illegale!!!)



Una interpretazione schizofrenica della Democrazia, e per di piu’ in aperto contrasto con quelle dichiarazioni di fermezza per il caso Moro in cui si disse, a ben ragione, che oltre a non patteggiare con i terroristi lo Stato avrebbe dimostrato la sua superiorita’ ed autorevolezza affrontando il terrorismo con le armi della Legalita’, della Certezza del Diritto e della Giustizia, e non certamente della illegalita’.



Ed invece proprio per quei motivi di illegalita’ nella natura dei fini e dei beni da conseguire e degli attacchi da fronteggiare, il Presidente ripeteva, la legalità sostanziale dei servizi e delle loro attività risiede negli interessi dello Stato e nel carattere “non convenzionale” del bene che si vuole acquisire, o del pericolo da cui ci si vuole difendere



Dunque quello a cui pervenimmo fu uno scenario ancor piu’ agghiacciante, se possibile, dovendo accettare la constatazione che un principio di simile barbarie, per quanto elaborato da alleati in un medesimo quadro di civilta’ e valori, avesse potuto essere applicato e cinicamente eseguito da uomini delle nostre Forze Armate. Ma Abu Grahib e’ li’ a dirci che non sono sufficienti le dichiarazioni di principio per evitare che una idea di Democrazia possa evolvere verso sciagurate prospettive di autoritarismo e di violenza.

Non lo credeva, invece, il parlamentare Taradash quando, durante la audizione del Gen. Arpino, oso’ declamare questa frase scellerata:



Taradash: “ (..) c’era un confronto molto aspro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica (..). Ma (..) c’era una differenza qualitativa poiche’ l’Unione Sovietica distruggeva la liberta’, mentre il Patto avversario, cioe’ la NATO, poteva commettere degli errori ed anche degli orrori, ma certamente non aveva come principio metodologico quello di liquidare le liberta’, ovunque le incontrasse. Desidero sapere se l’Aeronautica militare ha detto la verita’ e non ha imbrogliato il Governo, oppure in quegli anni lontani, ma al contempo vicini, aveva, come del resto le Forze Armate di questo Paese, altri obblighi preminenti, e, alla luce della storia, giustificabili.”



Giustificabili da che cosa e da quali principi, non era dato da capire. O a me risulta comunque incomprensibile ed inaccettabile.



Ma perche’ e come Sandro Marcucci ed io arrivammo a leggere questa tragica messinscena?



L’innesco, come ho raccontato al Giudice Priore, venne dalle due telefonate di Dettori, ma poi tutto fu affidato alla nostra capacita’ di intelligence, mettendo sullo scenario bianco tutti i pezzetti piu’ minuti del puzzle che dovevamo ricostruire senza avere la immagine cui riferire. Dunque tutto doveva poter trovare il corretto incastro senza alcuna forzatura o pregiudizio ed ogni pezzo doveva offrirci solo la porzione del quadro cui in realta’ riferiva. Tutto doveva essere vagliato con la nostra specifica competenza aeronautica e con le conoscenze che potessimo avere o che andavamo acquisendo sullo scenario che doveva essere ricomposto.



Certamente sulla vicenda di Ustica, Sandro doveva avere maggiori conoscenze di quanto non ne avessi io e di quanto neppure sospettassi che avesse. E certamente ha portato con se’ nella tomba molti dei segreti che non aveva voluto condividere neppure con me (come i nomi del controllore di volo e del pilota di Pratica di Mare pronti a testimoniare, a suo dire e se fossimo riusciti a farli convocare dal Magistrato, che quel maledetto MIG era decollato dalla base di Pratica di Mare) per la mia ben nota propensione a rendere pubblico tutto cio’ di cui venissi a conoscenza (per puro metodo di sicurezza), e che lui pretendeva invece di garantire con la piu’ assoluta riservatezza (mettendo a rischio anche la propria vita, fino a perderla in realta’ dopo la intervista criptica e rischiosissima del 29 Gennaio 1992, apparsa su IL TIRRENO, e rilasciata nel solo ed evidente scopo di salvaguardare la mia “costringendo” il redattore capo a pubblicare una mia lettera aperta al Ministro Rognoni).



Ma su tutte le circostanze di cui egli puo’ essere stato testimone, di una in particolare ha voluto che conservassi comunque una traccia, affidandomi un ampio incartamento sulla sua vicenda personale relativa al suo incarico di responsabile della transizione sul G-222. Un incarico stroncato con tenacia da un concerto di interessi certamente illeciti - e riferibili alla collocazione di un grande numero di G222 (inizialmente 20 esemplari poi ridotti a 6) presso un Governo straniero – quello libico, guarda un po’ - che trovarono nel Gen. Tascio il loro catalizzatore. Il Gen Tascio ottenne il trasferimento di Sandro ad altro incarico, ed in altra base, nel Maggio 1979 quasi in concomitanza con la sua stessa rimozione dal Comando della 46^ AB, disposta dopo la ispezione del Gen. Cavaliera, voluta dal Presidente Pertini, a seguito dell’incontro che egli volle avere con tre esponenti del Movimento Democratico dei Militari: il T. Col. Sandro Marcucci, il Serg. Magg. Lino Totano ed il sottoscritto, allora Capitano.



A prima vista sembravano carte consegnatemi solo per riepilogare, un giorno, la sua vicenda personale e processuale, ma fra di esse ve ne era una che si ricollegava direttamente alla vicenda di Ustica.



Tra quelle carte rinvenni infatti, riordinandole ma solo dopo il suo omicidio, un preoccupante ma significativo documento, relativo ad una riunione tra alti Ufficiali tenutasi a Roma. Ed era una riunione riservata che alcuni Ufficiali lealisti tennero alla fine di Maggio 1980 in un appartamento privato, per discutere di circostanze riservate che indubbiamente dovevano aver allarmato altri ambiti di Forza Armata ed altri Ufficiali, fino a minacciare – come nel caso di Sandro – un deferimento alla Procura Militare.



Una riunione convocata tra “Ufficiali amici” dal Gen. Com.te della III^ R.A., il Gen. Piccio (o Puccio?), presso la abitazione privata di uno di essi, ed in maniera del tutto inusuale ed estemporanea, anche dal punto di vista logistico trattandosi di un Comandante che aveva la sua sede naturale a Bari. Ma gli argomenti di quell’incontro dovevano essere di tale rilevanza da spingere altri a minacciare i partecipanti di deferimento alle Corti Militari. E’ cio’ che emerge da quello scritto di Sandro Marcucci che conservo in copia.



Si tratta di uno scritto, molto secco, inviato al suo superiore del tempo alla 2^ Regione Aerea, il Gen Cavatorta (di grado ed incarico speculare a quelli rivestiti dal Gen. Boemio presso la III^ R.A. di Bari). Venivo così a scoprire che il giorno 3 Giugno di quel 1980 a Sandro era stata prospettata la possibilità di essere oggetto di una informativa di reato a causa di quell’incontro, senza che vi sia stato poi in realta’ un qualsiasi ulteriore sviluppo della minaccia e senza che siano rimasti segni o tracce di quella vicenda di Sandro, cosi’nella mia conoscenza, come neppure nella sua storia militare documentata dal libretto personale consegnato dalla Aeronautica anni dopo al fratello Marco. La sua reazione alla paventata minaccia di deferimento penale era stata glaciale, fredda come mai avevo conosciuto, nè avrei sospettato, nè era e sarebbe mai stato Sandro, nelle altre sue vicende umane e professionali. Scriveva Sandro:





Data, 9 Giugno 1980.

Oggetto: Informativa di reato.

"... Le chiedo di volermi comunicare al più presto i precisi addebiti che Ella intende fare per motivare l'informativa di reato nei miei confronti. (...) del tutto improponibile ed inaccettabile un provvedimento nel quale si voglia sindacare nella mia personale libertà nei momenti fuori servizio.

Mi risulta d'altra parte che l'incontro cui Ella faceva riferimento ed al quale non ritengo confermare o meno la mia presenza, sia stato definito dal Sig. Gen. PICCIO, Comandante III^ R.A., pubblicamente, come un incontro di amici in locali messi a disposizione da altri amici comuni."



Quando ebbi modo di leggere quel foglio, mi nacque subito il convincimento che Sandro potesse aver saputo qualcosa di più sulla strage, e preventivamente ad essa. Certamente non di così evidente e chiaro da poter essere usato, da Sandro o dagli altri partecipanti alla riunione, per una articolata denuncia; ma certamente qualcosa di così "pericoloso" da averli allertati ed al contempo da spingere un personaggio quantomeno ambiguo come il Gen. Cavatorta a tentare quella irrituale minaccia pur di conoscere di quali temi e con quali particolari si fosse parlato in quell’incontro.



Il mio giudizio sul Generale nasce dall’essere stato proprio lui, nel grado di Colonnello, ad essere nominato dal Capo di Stato Maggiore Aeronautica del tempo, il Gen. Mettimano, come responsabile della Commissione di Inchiesta che doveva esaminare le durissime denunce di falsi e altre illegittime azioni e ruberie che avevo presentato ai miei diretti superiori. Una indagine trasformatasi in incriminazioni contro di me e di cui tuttavia si e’ impedito ogni dibattito processuale, archiviandola con una amnistia pur formalmente rifiutata dal sottoscritto e nonostante che nella documentazione apparissero deposizioni di colleghi e riferimenti documentali che accertavano indubitabilmente la consumazione dei reati da me denunciati. L’esperienza della conoscenza del Col Cavatorta se non era stata delle piu’ felici dal punto di vista umano, era stata sconcertante e squallida sul piano della serieta’ ed onesta’ professionale che dovrebbe sempre guidare un Ufficiale.



E ricordai, allora, la espressione sbigottita di Sandro quando giungemmo alle nostre conclusioni: “Lo hanno fatto. Lo hanno fatto davvero!”. Ma se io pensavo ad una conferma delle parole del M.llo Dettori, Sandro evidentemente pensava alle preoccupazioni che altri Ufficiali avevano nutrito con lui sulle prospettive di un possibile coinvolgimento della Forza Armata in una qualche attivita’ illegittima ed ignobile, e che al termine del nostro itinerario gli venivano evidentemente confermate essere state poste in essere nella vicenda stragista di Ustica.



Come non pensare e non ricordare, allora, a come appena pochi giorni prima di quella riunione “riservata di amici”, il Ministro per la Difesa, l’on Lagorio, avesse pronunciato (eravamo nel mese di Maggio 1980) quell’oscuro intervento alla cerimonia di giuramento dei frequentatori della Accademia Aeronautica di Sanita’ a Firenze, quando aveva testualmente detto:



"Una crisi oscura ci attanaglia. (..) C'è un'altra dura verità che per pudore o paura teniamo spesso nascosta e che al contrario va affrontata con coraggio (..) Una terribile parola, guerra, che era scomparsa da più di trent'anni dal vocabolario dei popoli europei è tornata in questi mesi a far parte del parlare preoccupato del nostro popolo [nostro popolo, si noti, e non più di tutti i popoli europei, per i quali evidentemente la parola non era ancora riapparsa all'orizzonte, da cui era scomparsa! ndr].

“La situazione internazionale infatti e’ piu’ buia; i focolai di guerra si sono accesi in troppe parti del mondo; le tansioni fra gli Stati ed i blocchi si sono fatte piu’ acute. (..) Dobbiamo poter contare anche (?) sulle Forze Armate [e su chi altri, se non sulle Forze Armate ed i suoi uomini, in caso di una guerra? ndr], su forze fedeli e sugli uomini (..)" (cosi’ in Lelio Lagorio “Appunti 1978/1981” pag. 173 – Le Monnier – Firenze 1981)”



Quale guerra era dunque alle nostre porte, di quale fedelta’ e affidabilita’ aveva bisogno il Governo, secondo le parole del Ministro? Una delle tante ambiguita’ irrisolte del primo Ministro per la Difesa socialista della Storia, un Ministro nato e formato alla Stanford University di Firenze (ove si formavano e si formano i quadri dell’intelligence parallela statunitense, una Universita’ dei dittatori in formato ridotto e con vestimenti democratici-occidentali), e chiamato al Dicastero dal Presidente Cossiga, per garantire e realizzare la rottura con il Governo libico prima e la esecuzione di Ustica subito dopo. Strano discorso, quello di Firenze.



Tanto piu’ che, appena un mese dopo e appena tre giorni prima della strage, il Ministro davanti alle Commissioni Difesa e con la presenza dei Capi di Stato Maggiore delle tre Forze Armate (a significare un unicum di reciproca fiducia ed affidabilità’ tra il Ministro ed i suoi apparati militari) avrebbe detto:



“Questo Ministro per la difesa e’ un pacifista (…) Il Capo dei Capi di Stato Maggiore americano può ben riferire al suo Parlamento che l’Italia è una buona base. Come si vede questa idea dell’Italia come ottima portaerei nel Mediterraneo è una idea antica e resistente. Ma i fatti veri dicono che nulla ci è stato chiesto, nulla è in via di preparazione, o preparato”.



Dunque il Ministro smentiva se stesso, definendosi pacifista dopo aver prefigurato appena pochi giorni prima, e a quadri militari, lo scenario di una nuova guerra. In piu’ non sembra che egli fosse stato audito per rispondere di eventuali promesse al Governo USA. Ma sente il bisogno (excusatio non petita, accusatio manifesta) di smentire che qualcosa fosse stato chiesto al Governo del nostro Paese, e fosse in via di preparazione o gia’ preparato.



Ancora il Ministro avrebbe smentito se stesso ed i propri comportamenti quando, essendo stato chiamato dalla cd Commissione Stragi - per rispondere del perche’ non avesse attivato formalmente le intelligence militari dopo la caduta del DC-9 –, egli, forse immemore di quella esibizione alla Camera di un “unicum” tra il Ministro ed i suoi capi militari, avrebbe risposto dicendo di “ritenere i Servizi Informazioni Italiani inaffidabili ed inefficaci”.



Lei come me capisce che certe gaffes governative potranno anche essere digerite da improbabili Parlamentari che ingoierebbero anche un elefante, ma a noi militari dicono di evidenti menzogne che l’etica militare puo’ accettare (o meglio subire) solo se si e’ coinvolti in situazioni di illegittimita’ e di ricatto inaudite.



Ma perche’ avrebbe dovuto essere stato chiesto qualcosa proprio a noi? Tra le tante possibili ragioni, una su tutte aveva una sua intrinseca forza persuasiva.



I Servizi Americani erano inibiti a realizzare qualsiasi azione di destabilizzazione in uno scenario extraterritoriale statunitense, senza ottenere il diretto ed esplicito consenso del Presidente Americano. La direttiva Carter, nata dalle rivelazioni devastanti sul coinvolgimento dei servizi statunitensi nel golpe cileno del 1973 tenendone all’oscuro la presidenza americana, era infatti categorica al riguardo.



Carter era gia’ sotto pressione da parte dei suoi servizi e di parte del Congresso, perche’ tornasse a lasciare mano libera alla intelligence in operazioni ritenute necessarie alla Sicurezza ed agli interessi degli Stati Uniti. La sua resistenza, che sarebbe crollata nel successivo Ottobre con il ritiro della clausola del necessario consenso governativo a tali operazioni riservate, era stata gia’ duramente provata dalla operazione del precedente Aprile in cui era stato autorizzato l’intervento di truppe della Delta Force in territorio iraniano con l’obiettivo di liberare gli ostaggi statunitensi ormai da mesi nelle mani dei loro sequestratori.



Operazione poi miseramente fallita – o meglio fatta fallire – costringendo il Presidente ad annunciare in televisione al Popolo Statunitense il fallimento della missione insieme alla piena responsabilita’ del suo Governo nell’averne deciso la pianificazione, per averla autorizzata e disposta, pur naturalmente “nell’interesse esclusivo della Nazione”.



Ora pochi ricorderanno come a dirigere quella Delta Force vi fosse un tale Capitano North che sarebbe approdato immediatamente dopo nello staff del nuovo presidente americano (quel Ronald Reagan che in Novembre avrebbe sconfitto inaspettatamente il Presidente uscente Carter). Lo stesso North che solo qualche anno dopo si sarebbe trovato, con i gradi di Colonnello, implicato nel vergognoso scandalo Iran-Contras.



Dunque, per quanto gli americani potessero voler orchestrare un “attacco alla fattoria”,per liberarsi dell’indesiderato capo indiano Gheddafi attribuendogli la responsabilita’ diretta di una strage, essi non avevano spazio e condizioni per poterlo organizzare in prima persona sul nostro territorio. Avevano dunque necessita’ di qualcuno, tra gli alleati, che accettasse di “travestirsi da indiano” per far ritrovare uccisi, apparentemente con le armi dell’indiano (il MIG), quei quattro coloni civili, “insignificanti nell’economia della macropolitica”, e poter dare legittimazione ad ogni forma di ritorsione.



Era dunque molto verosimile, se non certa – ma solo perche’ ci mancavano i riscontri finali che solo un Magistrato ha il potere di verificare – che nostri Uomini avessero agito, nella preparazione e nella esecuzione della strage, assecondando espliciti ordini del livello politico piu’ alto, in obbedienza alle richieste statunitensi.



Rimaneva solo da capire la dinamica della esplosione del DC9. E tutto si chiari’ per una banale circostanza dello scoppio di un palloncino per bambini, illuminandoci su quella terza affermazione del Maresciallo Dettori rimasta fino ad allora incomprensibile: i missili a testata inerte.



Se un missile a testata inerte colpisce infatti un velivolo civile, in volo pressurizzato a 27.000 piedi, e’ evidente che quel velivolo scoppiera’, per il differenziale di pressione, interno-esterno, proprio come fa un comune palloncino se viene colpito da uno spillo, con un “effetto bomba”. Ma lo fa in un modo particolare: e cioe’ si’ con un “effetto bomba” (dall’interno verso l’esterno) ma con l’unico neo, pericoloso in caso di indagine seria, che una simile esplosione non puo’ evidentemente lasciare quelle tracce di esplosivo che una bomba reale lascerebbe invece inevitabilmente.



E il raffinatissimo lavoro di depistaggio si e’ dovuto a lungo esercitare per riuscire nell’intento di prospettare la “bomba” come soluzione finale non fosse che per esclusione delle altre possibili soluzioni. Nel percorso andavano costantemente contrastati i problemi posti dalla assenza di tracce di esplosivo, fino a suggerire al buon on. Zamberletti quella soluzione paradossale che lui, in nome e per conto di un perito di parte, ha sostenuto nel suo libro su Ustica. I residui di esplosivo sarebbero stati “assorbiti dal corpo di un passeggero che sicuramente in quella fase di volo doveva essersi recato in toilette”. Sconcertante!



Ma fin da subito apparve finalizzata a questa prospettiva di una “bomba per esclusione” anche la astuta propalazione di informazioni avvelenate su possibili missili, informazioni offerte proprio a coloro che sarebbero apparsi, come era nelle loro sincere intenzioni, tra i piu’ fieri accusatori della Aeronautica. La prima fu quella dei missili a testata “termica”. Questi pero’ avrebbero dovuto inseguire il DC9 in coda puntandone i coni di scarico dei motori. E dunque, poiche’ si sarebbe infine accertato che il velivolo era stato semmai colpito all’altezza dell’attacco alare anteriore destro, quella ipotesi astutamente diffusa doveva essere funzionale solo a distruggere ogni verosimiglianza dell’attacco missilistico.



Poi fu la volta della affabulatoria versione planata e ammaraggio, con contorno di navi e sottomarini, in un delirio di ignoranza saccente che evniva trasmesso a cronisti avidi di scoop piu’ ancora che di verita’. Essi nulla sapevano delle procedure aeronautiche di volo e di ammaraggio, come scrissi al Dott. Torrealta, e tuttavia sposavano acriticamente una ipotesi affabulatoria quanto funzionale alla sola riesumazione finale della “tesi bomba”.



Ora poiche’ e’ proprio questa “tesi della bomba” quella che un altro “gentiluomo” il Gen. Nardi, ha cercato per anni di accreditare - sviluppando una pseudo inchiesta parallela, e raccogliendola in un video (che ho naturalmente acquistato), secondo la quale la bomba doveva finire per essere una certezza, anche solo per esclusione – risulta evidente che quella tesi fosse stata accuratamente predisposta per costituire un “alternato” in caso qualcosa non avesse funzionato nella missione. E’ questo che rende smaccatamente evidente la premeditazione del delitto di strage e la ricolloca in quello scenario dell’ “attacco alla fattoria” di cui Le ho parlato prima.



Perche’ per creare quell’apparente effetto bomba si e’ dovuto impiegare un missile a testata inerte e questo tipo di arma non puo’ essere impiegato in altre condizioni se non in esercitazioni (che non erano attive) o per determinare proprio un “effetto bomba” su un bersaglio pressurizzato che si sia deciso di colpire.



Ma e’ poi accertabile che di un missile a testata inerte si sia trattato? Io credo di si’, perche’ solo pochi giorni dopo una delle mie audizioni dal Giudice Priore le agenzie di informazione riportavano che il Magistrato aveva rinvenuto nel bordo d’attacco dell’ala destra dei rottami del velivolo delle sferule di acciaio. Di esse non si e’ poi saputo piu’ nulla, ma c’e’ da essere certi che si tratti di quelle sferule tarate che costituiscono il corpo del missile e che servono per stabilizzarne il volo quando la camera esplosiva venga sostituita con una camera “inerte”.



Inerte si’ ma micidiale. Poiche’ delle sferule che vengono liberate dalla prima esplosione di innesco di un missile a guida radar e spoletta di prossimita’, come Lei mi insegna, vengono comunque irradiate alla velocita’ supersonica del missile e dunque costituiscono uno “spillo micidiale” se intercettano un velivolo pressurizzato.



E quelle piccole tracce di esplosivo su alcuni sedili, Lei mi chiedera’? Nulla di piu’ semplice, poiche’ il buster di quei missili e’ alimentato da combustibili della stessa natura esplosiva, e tutto torna allora nell’impatto dell’aereo durante la sua esplosione con un corpo esterno (il buster appunto) che lo ha attraversato, all’altezza del portellone di carico con direzione esterno-interno e ad altissima velocita’ (cosi’ nella relazione della prima Commissione di Indagine Tecnica).



E siamo a quei tracciati radar cosi’ a lungo mantenuti criptati con codici NATO costantemente rifiutati alla nostra Magistratura. Fino al “casuale ritrovamento”, secondo il Generale Arpino, di quel codice obsoleto che avrebbe gia’ dovuto essere rigorosamente distrutto in tutte le sue possibili copie, quando era intervenuto il cambiamento con nuovi codici.



Ora Lei, in quanto militare, dovrebbe convenire che non e’ dato che le copie di un codice possano essere dimenticate da qualcuno in qualche cassetto anonimo per anni, e che non si sia proceduto, quando disposto, alla loro totale distruzione. Questo perche’ i codici non sono di libero accesso a chiunque, tra il personale militare, e chiunque ne riceva una copia e’ tenuto a sottoscriverne la assunzione in carico e responsabilita’ personale. Se cio’ avveniva per ogni capo equipaggio che, andando in missione fuori dalla propria base, riceveva una “busta Charlie” - dal Comando operativo o dall’Ufficiale di picchetto al Corpo di Guardia, quando fosse chiamato a decollare fuori dall’ordinario orario di servizio -, contenente i codici di comunicazione da attivare nel caso in cui si fossero determinate emergenze nazionali ed internazionali, ben difficilmente potra’ essere credibile che cio’ non avvenga per un codice di criptazione NATO sui tracciati radar, non Le pare?



Ha un bel dire il Gen. Arpino davanti alla cd Commissione Stragi che bisognava essere grati, una volta tanto, alla italica e nota sciatteria, la quale avrebbe dunque consentito di rintracciare quel codice in qualche anonimo cassetto. Anonima e’ rimasta tuttavia l’identita’ del o dei soggetti che avrebbero effettuato il fortunoso ritrovamento, anonime sono rimaste comunque le circostane ed i luoghi di quel ritrovamento, anonime ed ignote le indagini per l’accertamento delle responsabilita’ omissive di una distruzione “dovuta”.



E si tratta di un “dovere” ineludibile, come Lei stesso non avrebbe difficolta’ ad ammettere in qualsiasi circostanza venisse interrogato al riguardo da un Ufficio deputato e legittimato a farlo, e la cui mancata attuazione sarebbe di una gravita’ assoluta, perche’ essa costituirebbe una possibilita’ drammatica di intelligence di spionaggio dell’avversario sui nostri codici e dunque di insicurezza e penetrabilita’ del sistema difensivo aereo dell’intera alleanza atlantica.



Molto opportunamente allora andava dicendo il senatore Cossiga che i codici erano stati da sempre nella disponibilita’ delle nostre Forze Armate Nazionali, mentre il Magistrato si affannava a richiedere un codice di criptaggio non piu’ disponibile - in quanto obsoleto e materialmente distrutto - ai Comandi NATO, la cui autorita’ e’ si’ coordinata ma mai sovraordinata alla potesta’ della Autorita’ politica Nazionale di un Paese membro della Alleanza, nei confronti delle proprie Forze Armate.



Ma proprio omettendo questo particolare aspetto del problema (la indisponibilita’ assoluta dei codici obsoleti e sostituiti) l’astuto Cossiga preparava alla accettazione passiva della consegna – ottenuta forse addirittura con un sospiro di sollievo - di un codice che riapparisse improvvisamente. Tant’e’ che nessuno ha chiesto “dove, da chi, in quali circostanze fosse stato rinvenuto, e quali caratteristiche ne avessero suggerito la ricognizione al fine di stabilire realmente che proprio di quel codice cripto lungamente e vanamente richiesto dalla Magistratura si trattasse e non di altro”.



Ma quel “codice ritrovato” non offriva alcuna garanzia, in realta’, di saper mostrare efficacemente e realmente le tracce radar per quello che in verita’ esse erano state al tempo della registrazione. Ne’ piu’ ne’ meno di quanto il piu’ recente “codice da Vinci” possa offrire certezze sulle interpretazioni che vorrebbe offrire alla “doppia vita del Cristo”. Dunque siamo di fronte ad una ennesima e raffinatissima modalita’ di depistaggio.



Quella ultima decriptazione, legata a questo strano codice ritrovato, non offriva in realta’ assolutamente la certezza di rivelare i reali movimenti intervenuti nel cielo di Ustica quel giorno 27 Giugno 1980. E certamente non davano conto dei tre coni di oscuramento del controllo civile, che in quel periodo potevano essere attivati - dopo la smilitarizzazione, “teleguidata” dai Comandi militari, di parte del Servizio di Controllo aereo, e realizzata appena nell’Ottobre precedente - sulle direttrici Maddalena-Grosseto- Rimini, Maddalena-Grazzanise-Gioia del Colle e Maddalena-CataniaSigonella.



Se qualcuno avesse avuto coscienza e consapevolezza di questo particolarissimo aspetto del controllo del traffico aereo (e delle ragioni che lo avevano suggerito in quel caldissimo inizio del 1980 – crisi internazionale per invasione militare dell’Afghanistan da parte delle truppe sovietiche, Ciad e scontro Libia-Usa e Libia-Italia, quest’ultimo per la vicenda Malta e concessioni di ricerche petrolifere all’AGIP -) forse avrebbe saputo meglio interpretare le lunghe circuitazioni di velivoli Awacks in quelle ore di quel giorno, in punti strategici precisi dello spazio aereo. Stavano oscurando i tratti di spazio aereo lungo i quali si sarebbe svolto l’avvicinamento per l’attacco finale al velivolo civile.



E forse non sarebbe caduto nella astuta trappola, anch’essa predisposta con raffinata astuzia perche’ fosse rappresentata e sostenuta dalle sue stesse vittime, di affermare che quella traccia “apparsa improvvisamente nel cielo” di un velivolo alla medesima quota del DC9 dimostrava la partenza di un velivolo dal ponte di una portaerei. Santa ignoranza dei neofiti!



E’ infatti certamente fascinoso pensare che una traccia che compaia improvvisamente sul mare possa e debba corrispondere ad un velivolo decollato da una portaerei. Solo che, come insegnerebbe un qualsiasi manuale di base, un velivolo che decolli da una portaerei viene intercettato si’ dai radar della difesa solo a qualche centinaio di piedi di altitudine dopo il decollo, ma se tale fosse stata la condizione di quella “improvvisa apparizione” quel velivolo sarebbe stato registrato in un profilo di salita, dai circa cinquemila piedi di ingaggio verso la quota dei 27.000 piedi, e non gia’ stabilizzato a quella quota, la stessa cioe’ del DC9.



Tant’e’ che lo stesso Gen. Arpino, come abbiamo ricordato, si lascio’ sfuggire:



“Noi non sappiamo se ci sono state esercitazioni di tipo diverso e su scala diversa; i nostri radar pero’ avrebbero visto questa attivita’; ma non mi risulta.



Poiche’ noi tutti uomini dell’aria sappiamo che una qualsiasi struttura di Difesa Aerea ha senso di esistere solo se e’ in grado di rilevare sempre e costantemente qualsiasi attivita’ volativa nei nostri cieli o di penetrazione nel territorio spazioaereo nazionale. Ma questa rigida consegna, solo nel caso del MIG, ha avuto una spaventosa defaillance.



Questa condizione attesta invece che i velivoli corrispondenti a quella traccia “apparsa improvvisamente” stavano uscendo in quell’ultima fase dell’attacco al DC9, dal cono d’ombra al cui riparo avevano potuto avvicinarsi all’IH870, senza essere rilevati, fino alla posizione finale di attacco.



Mentre quella traccia in ombra del DC9 (il MIG), anch’essa non rilevata dai radar nella sua fase di decollo e avvicinamento, avrebbe potuto iniettarsi non vista – decollando ad esempio da Pratica di Mare - nella scia del velivolo civile, solo se i radar civili fossero stati oscurati per i brevi minuti necessari, ad esempio, ad una esercitazione di contromisure elettroniche. E, dica, non era forse un velivolo delle contromisure quello che atterrava a Pratica di mare appena pochi minuti prima della strage e dopo aver appena compiuto una esercitazione di contromisure?



Gia’, ma su richiesta del Giudice Priore – benche’ con sei mesi di ritardo, rispetto alla sua domanda – Pratica di Mare rispose che i nastri delle comunicazioni di quella sera erano indisponibili perche’ riutilizzati, secondo le normative cui quella comunicazione faceva riferimento, al trascorrere dei tre mesi in assenza di necessita’ ulteriori di conservazione.



Nulla di piu’ incredibile. Poiche’ certamente prima che la Torre di Pratica cessasse la sua attivita’, quel giorno devono necessariamente essere state registrate le comunicazioni di allarme per il DC9 in quanto esse furono lanciate anche sul “canale di guardia”, quello su cui tutti i velivoli in volo e le basi di terra sono costantemente in ricezione, quale che sia la frequenza utilizzata dagli operatori in quel momento. Ed una qualsivoglia amministrazione la quale detenga un nastro che abbia registrato una qualsiasi comunicazione di emergenza e’ tenuta, come Lei ben sa, a sigillare quel nastro e lasciarlo nella disponibilita’ della Autorita’ Inquirente.



Tant’e’ vero che, sempre dopo alcune mie deposizioni anche se non necessariamente per ragioni collegate direttamente a quelle deposizioni, il Giudice Priore rinvenne due nastri, uno di Capodichino ed uno in Sardegna, sigillati da quel lontano 27 Giugno 1980, e lasciati nella disponibilita’ della Magistratura, per aver registrato, quegli Enti di controllo Aeronautico, altre emergenze dichiarate sul canale di guardia in quella giornata (Capodichino in particolare, se non vado errato, aveva registrato una dichiarazione di emergenza di un velivolo in atterraggio sull’isola d’Elba).



Dunque tante piccole furbizie, come questa della menzogna sui nastri di Pratica di mare, sono state utilizzate al fine di occultare conoscenze rilevanti al magistrato, ed esse hanno di fatto impedito agli inquirenti di porre gli interrogativi giusti alle persone giuste al momento giusto.



D’altra parte la sentenza ordinanza di rinvio a giudizio, fin dalle prime pagine (intorno a pag 70) descrive questo assurdo comportamento degli Enti e degli Uomini della Aeronautica. Vi si descrive la acquisizione, nel Dicembre 1980, dei nastri del Controllo Aereo a Palermo, da parte del Giudice Santacroce. Esiste un verbale di quel sequestro, ma e’ un verbale estremamente particolare:



E’ un Ufficiale della Aeronautica che si intesta il verbale dando atto che di fronte a lui si era presentato il Sig. Santacroce “classificandosi con il grado (sic) [cosi’ nella sentenza] di Magistrato.” Avendo tale signore insistito per ricevere i nastri, l’estensore del verbale da’ atto di aver prima consultato i suoi diretti superiori e solo successivamente di aver aderito alla richiesta “ammonendo il Magistrato sull’uso inopportuno che avrebbe potuto farsi di materiale classificato”!! Mi dica Lei se non c’e’ da urlare dalla indignazione. Ma tuuti hanno scorso via da quelle pagine alla caccia della soluzione finale! Avidi come lettori accaniti di gialli di terzo ordine delle conclusioni senza voler passare per il corpo della narrazione.



C’e’ ad esempio un’ultima chicca relativa all’archivio scramble di Grosseto, dove dovevano essere conservate le parti prime del form-1 dei velivoli, sottoscritte dai singoli piloti o comandanti di ogni singola missione. Un archivio che ebbi l’impressione fosse sconosciuto, prima delle mie deposizioni, al Giudice Priore,. Ebbene a quanto ebbe a dirmi il giornalista Roberto Scardova, che in qualche maniera e per qualche motivo era a conoscenza della circostanza, il Giudice Priore, recandosi a Grosseto per visionare quell’archivio, ricevute le chiavi per accedervi dovette tuttavia constatare una singolare e inopinata realta’: in quell’archivio poderoso, risalente alla fondazione stessa del reparto di caccia intercettori della Difesa un principio di incendio aveva mandato distrutti i documenti dei soli mesi di Giugno e Luglio del 1980!!



Forse il Magistrato avrebbe potuto non arrendersi e chiedere di visionare, ove esistesse, l’archivio delle parti tecniche del form-1 (parti 2-4) dei velivoli che abbiano svolto missioni. O avrebbe potuto chiedere di esaminare i libretti personali di volo di alcuni piloti ovvero di controllare i registri di volo del gruppo.



Intante altre circostanze ci si sarebbe potuti non arrendere, anche se capisco la frustrazione di un Magistrato inibito a disporre una operazione di sequestro presso qualsiasi base militare senza aver preavvisato il Comando del giorno ed ora in cui si presentera’, o lo faranno gli uomini cui sia stato delegato il sequestro, presso la base, definendo precisamente cosa abbia intenzione di sequestrare e dove abbia intenzione di cercarlo!!



Il Giudice, evidentemente depresso ed umiliato per quell’ulteriore scacco alle proprie indagini, evidentemente si arrese, come aveva gia’ fatto di fronte alla alterazione degli statini di presenza dei controllori di volo in servzio a Pratica di Mare. Ne convoco’ inutilmente un centinaio a Roma, durante le indagini, ma nessuno deve avergli suggerito un semplice controllo incrociato con i prospetti stipendiali della base in quel periodo!!



Ma intanto moriva suicida Carfagna, controllore a Pratica al tempo della strage (e oggi nutro la convinzione fosse uno dei due uomini di cui parlava Sandro), e moriva in circostanze di preoccupante singolarita’. Come erano morti Puglisi, Dettori, ed infine come sarebbe morto all’indomani di una mia intervista al Gazzettino di Venezia Totaro, l’ex Capitano medico di Grosseto confidente di Naldini e Nutarelli, deceduti a Ramstein e verosimilmente in volo la sera di Ustica, se e’ vero come e’ vero che al loro rientro in Italia erano gia’ stati precettati per essere ascoltati dal Magistrato Inquirente.



Come ben vede, Sig. Generale, una serie di piccole e grandi astuzie ha consentito ai responsabili di approdare alla meta ambita del riconoscimento di irresponsabilita’. Ma e’ stato come se, richiesti di una ispezione all’arma che avesse fatto cilecca nel compito istituzionale (cosa gia’ di per se gravissima, come e’ stato della negazione da parte della Difesa Aerea della conoscenza di quanto si consumasse nei nostri cieli al tramonto di quel 27 Giugno 1980, per quanto nessuna autorita’ deputata abbia ritenuto di rilevare e sanzionare tale originaria mancanza, fonte di tutte le successive conseguenze, volute o non volute che fossero), ci si rifiutasse di mettere l’ispettore nella condizione di conoscere i meccanismi che consentono di scomporre l’arma nelle sue singole parti per poterne analizzare approfonditamente ciascuna.



Una realta’ che dunque non ha colpito l’Arma come Lei sostiene, con ferite di guerra le cui cicatrici rimarranno indelebili, ma una realta’ in cui uomini dell’Arma hanno cinicamente e volontariamente mancato ai propri doveri ed alla fedelta’ giurata.



Una realta’ che conferma come solo l’omicidio di uomini come Sandro Marcucci, l’emarginazione e il discredito per persone come me, abbia potuto consentire la generalizzata impunita’, in assenza della ricostruzione credibile dello scenario stragista ed in assenza di un minimo senso di responsabilita’ verso i Cittadini di questo Paese da parte quanti sapevano o vennero a sapere dello scempio consumato, rivestivano o rivestono o rivestiranno ruoli e funzioni che permettevano e permetterebbero ancora di sciogliere la condanna omertosa sulla strage.



Vede, Comandante, a volte nei delitti piu’ efferati rischiamo di dedicare maggiore attenzione ai colpevoli che non alle vittime. Di esse spesso il ricordo sfuma progressivamente nell’indifferenza, mentre i colpevoli sono sempre li’ ad animare il dibattito sui criteri dell’accertamento di responsabilita’ e sui risvolti umani di processi giudiziari infiniti. E possono chiedere di essere ancora creduti quando mentono, non ricordano, hanno necessita’ di verificare diari che poi risulteranno distrutti.



Noi Ufficiali eravamo stati abituati a crescere con l’allenamento della storia e dunque della memoria e della analisi di fatti e situazioni. Nessuno di noi potrebbe mai credere ai tanti “non ricordo”, “dovrei controllare i miei appunti dell’epoca”, e cosi’ via dicendo.



E allora ho voluto scriverLe questa lettera estenuante perche’ sia chiaro che non sara’ mai possibile eliminare, come in ogni delitto, tutti i particolari che potrebbero accusare i colpevoli. Che finche’ ci sara’ qualcuno che non vuol rinunciare alla memoria carica di competenza, sara’ possibile sperare che Magistrati consapevoli del proprio dovere, come Falcone e Borsellino, o Rappresentanti Politici consapevoli del proprio ruolo e delle proprie funzioni (quali?) prendano in mano la storia e riaccendano la ricerca della Verita’ a fini di Giustizia.



Ed io penso che l’opera piu’ grande e nobile potrebbe venire proprio dall’Arma se qualche Comandante, consapevole e carico di senso dell’onore, decidesse finalmente di spalancare le porte all’accertamento della Verita’, collaborando con gli inquirenti con le competenze che ad essi mancano, piuttosto che depistarli continuamente ed indurli verso false piste, ovvero sottraendo loro strumenti fondamentali di conoscenza e investigazione.



Avevo gia’ sperato che il Gen. Arpino trovasse il coraggio di farlo, e glielo avevo anche scritto, ricavandone solo una ulteriore delusione. Potrebbe farlo Lei, ma non La conosco abbastanza e non so nemmeno se poi vorrebbe farlo davvero anche fosse consapevole della Verita’ e del Suo dovere di contribuire a disgelarla pienamente.



Ustica e’ stato comunque tutto quello che Le ho raccontato ed anche molto di piu’. Era giusto e doveroso riproporre quello scellerato scenario a Lei ed ai nuovi e vecchi rappresentanti Politici in indirizzo, senza timori e reticenze perche’ spero sempre che “ci sara’ pure un Giudice a Berlino”.



Saluti di rispetto istituzionale.





Mario Ciancarella

Anonimo ha detto...

Sono nati i siti www.strageustica.altervista.org,
www.mariociancarella.altervista.org
Visitateli e buona lettura. laura